Dall’estate 2013 all’estate 2014, Stéphanie e Gabriel Monet hanno fatto il giro per il mondo con i loro tre figli Solène, Lilian e Ophélie, di 10, 7 e 5 anni al momento della partenza. Un viaggio che lascia segni…
Era il nostro sogno da anni, e il sogno divenne realtà: abbiamo saltellato in giro per il mondo in famiglia per quasi un anno. Abbiamo viaggiato verso l’est, con diversi mezzi di trasporto: in aereo, in treno, in nave, ma anche in macchina, in autobus, in bicicletta, a piedi e a volte anche in carro di yak. Il transiberiano ci portò da Mosca a Pechino, passando dalla Siberia e dalla Mongolia. La scoperta dell’Asia si completò con il Giappone, Hong-Kong, Bali e la Malesia, prima di conoscere l’Oceania: i grandi spazi dell’Australia, la realtà multiculturale della Nuova Caledonia, l’indimenticabile accoglienza della Polinesia francese. L’Isola di Pasqua con i suoi misteriosi moai ha rappresentato un passaggio interessante in America del Sud, dove abbiamo percorso il Cile, l’Argentina e il Peru. Il nostro viaggio si è concluso percorrendo gli Stati Uniti da Ovest a Est, dedicandoci soprattutto ai parchi nazionali e alla natura sconvolgente. Di ritorno dai 102.000 km percorsi, casa nostra non era cambiata per niente, ma noi si!
Le due caratteristiche principali del nostro viaggio si possono sintetizzare in due parole, volti e paesaggi: viaggiare per conoscere le persone e viaggiare per ammirare la natura. La nostra conclusione è senza dubbio quella che riteniamo sia la più importante di questo viaggio: la bontà delle persone e la bellezza della creazione.
Di città in città, abbiamo approfittato lì dove era possibile di essere ospitati da qualcuno del posto. Siamo sempre stati ricevuti con un’accoglienza straordinaria, non sempre per ciò che riguarda lo standard del posto, ma sempre per la qualità della relazione e della gentilezza di chi ci ospitava. A tal punto che abbiamo potuto vivere entrambi i sensi della parola “ospite”, che è allo stesso tempo chi ospita e chi viene ospitato. Spesso ci siamo sentiti grati, e ci hanno dato la sensazione di onorare con la nostra presenza. Questa bontà umana trovata in modo così costante ci ha fatto rendere conto che a volte è più facile individuarla nei posti in cui siamo solo di passaggio, quando, senza dubbio, è un realtà che si può discernere anche tra i nostri vicini, colleghi.
Per quanto riguarda la scoperta della natura, tutto ciò che è minerale, vegetale o animale, è stato una costante meraviglia. È vero che il nostro mondo è in pericolo e il nostro interesse per l’ecosistema già abbastanza intenso è stato solo rinforzato. Ma bisogna anche constatare che sul nostro pianeta ci sono oggi molti posti magnifici dove prosperano degli animali tanto belli come accattivanti, e piante e alberi tanto vari come sorprendenti. Un tale ricchezza, una tale varietà, una tale bellezza hanno intensificato la nostra riconoscenza verso il Creatore, poiché è difficile immaginare che tutto ciò sia frutto del caso.
Certo è che c’è stata l’avventura rappresentata dal viaggio, dai paesaggi esterni, ma questa esperienza ha rappresentato anche un’avventura interiore, umana, familiare. Partire per un anno come nucleo familiare è stata una sfida, e anche un interrogativo. Quotidianamente, anche quando si vive sotto lo stesso tetto, ognuno ha le proprie attività: il lavoro, la scuole, il tempo libero. In questo caso, per 344 giorni abbiamo vissuto uno vicino all’altro, facendo tutto insieme, spesso dormendo nella stessa stanza. Ovviamente c’è stato bisogno di arrivare a dei compromessi e di esercitare la pazienza e la tolleranza, ma che gioia quella di vivere un progetto tale in comune e avere così tanto tempo da condividere insieme! I nostri legami ne sono usciti fortificati.
Oltre alla famiglia di sangue, abbiamo anche vissuto la nostra esperienza in relazione alla chiesa avventista, una grande famiglia. Ci siamo spesso messi in contatto con gli avventisti del luogo, in anticipo o direttamente sul posto. E bisogna constatare che l’attaccamento comune a Dio e alla Chiesa crea dei legami che non ci si aspetta. Un piccolo aneddoto: avevamo provato a metterci in contatto con la chiesa avventista d’Irkoutsk in Siberia molto prima della nostra partenza, ma senza esito. Durante la nostra istanza a Mosca, i responsabili avventisti con cui avevamo dei legami hanno provato a contattarci, anche loro senza successo. Abbiamo quindi prenotato in un ostello vicino al lago Baikal. Dopo quattro giorni e quattro notti ininterrotti in treno nel transiberiano, siamo arrivati alla stazione d’Irkoutsk e una sconosciuta ha abbordato nostra figlia maggiore, Solène, che camminava davanti a tutti. “Sei la figlia di Monet?”. Avevano finalmente ricevuto la notizia del nostro arrivo e avevano mobilitato due macchine e l’unica persona della chiesa avventista che parlava inglese per aiutarci. Alla fine ci siamo messi d’accordo che saremo comunque andati per qualche giorno a 70km da lì, nell’albergo prenotato vicino al lago Baikal, e che ci saremo visti il sabato in cui mi avevano chiesto di predicare. Per mantenere i contatti e organizzare il weekend che avevamo deciso di passare insieme, una delle famiglie presenti ci ha gentilmente prestato il loro unico cellulare, nonostante fossimo degli sconosciuti fino a qualche minuto prima. Il sabato in chiesa abbiamo passato un momento molto piacevole. Parlando con un pastore in pensione, siamo rimasti meravigliati nello scoprire che era stato per cinque anni in prigione durante l’era del comunismo debito al suolo ruolo di predicatore. La sua reazione è stata motivo di riflessione: “Sa, ho avuto fortuna: alcuni colleghi pastori avventisti sono stati giustiziati per aver predicato l’Evangelo e il messaggio avventista”. Dal sabato pomeriggio alla domenica sera siamo andati in campeggio nelle montagne siberiane con due coppie e un bambino. Sono stati dei momenti di condivisione piacevoli, semplici e sinceri. Indimenticabile!
Che incontri, che scoperte, che esperienze! Frenetici ma non sempre rilassanti. Infatti, anche se il viaggio era un anno sabatico, non ci siamo riposati in realtà se consideriamo il riposo come le ore di sonno o di non far nulla. Al contrario, il cambio di ritmo, disconnettere dalle attività e i problemi abituali o riconnettersi sull’essenziale hanno reso questo anno sabatico una vera ricarica. Ci siamo “Ri-posati” nel senso che abbiamo potuto riconsiderare il nostro modo di vivere la vita. Attraverso i volti e i paesaggi naturali che hanno caratterizzato il quotidiano del nostro viaggio, abbiamo anche approfondito il desiderio di trovarvi il volto di Dio. Un Dio che ha esperto e gradito, che ci ha rinfrescato con il suo soffio energizzante.
Questo anno sabatico usato per fare il giro del mondo non è stato un anno idilliaco nel senso che tutto era facile, meraviglioso e che tutto veniva da sé. No, c’è stato bisogno di costruire questo sogno, viverlo, osare andare avanti, essere impegnati nell’avventura e affrontare le disavventure, preparare, organizzare, gestire.. Ciò nonostante, sì, è stato un anno unico, eccezionale.