La depressione non discrimina nessuno, non tiene conto di razza, genere o religione.
Ci conoscevamo dall’asilo, ma, fino alla terza superiore, il ragazzo dai capelli castani e il sorriso timido non era altro che un conoscente. Se non fosse stato per un insegnante che ci ha reso compagni di studio, avremmo potuto non conoscerci mai.
All’inizio la nostra interazione era strana, imbarazzante, ma le iniziali sessioni di studio si sono trasformate nelle chiacchiere fatte in corridoio, nel sedersi insieme sull’autobus e, infine, nel nostro appuntamento settimanale, ogni mercoledì, al bar Gloria Jean’s. È diventato uno dei miei migliori amici. Purtroppo, come spesso accade, dopo il liceo ci siamo persi di vista.
Qualche anno dopo, ci siamo ritrovati. Mi ha fatto piacere sapere che era sposato e che viveva tra uno stato e l’altro. Era entrato in Marina, come subacqueo e marinaio di sottomarino.
Ancora qualche anno dopo, un giorno mi sono ritrovata a chiedermi come stesse il mio amico e così l’ho cercato. Il suo profilo Facebook era stato trasformato in un monumento commemorativo. Mi ci è voluto un minuto per capire cosa significava tutto questo. Più tardi ho saputo che si era tolto la vita.
Ho vissuto un misto di emozioni. All’inizio mi sono sentita insensibile. Volevo piangere, ma non ci riuscivo. Poi è arrivata la rabbia. Perché non aveva detto niente? Perché non mi aveva cercata? Dopo la rabbia è sopraggiunto il senso di colpa. Avrei potuto fargli cambiare idea? Non mi aveva cercata perché non ero stata una buona amica?
In un momento inopportuno, quando meno me l’aspettavo, riuscii finalmente a piangere. Un’immagine che avevo visto sui social media acquisiva all’improvviso un senso: “Il suicidio non libera del dolore, lo trasmette solo ad altre persone”.
Secondo l’organizzazione Beyond Blue, in Australia, ci sono in media otto suicidi al giorno, di cui sei sono uomini. Il suicidio rappresenta la principale causa di morte per gli uomini australiani di età compresa tra i 15 e i 54 anni, più del doppio delle vittime di incidenti stradali. Ci ricordiamo spesso delle vittime degli incidenti stradali ma raramente parliamo di suicidio.
Sembra esserci l’idea che i cristiani non hanno, o non dovrebbero avere, queste lotte. Ma la depressione non discrimina nessuno, non tiene conto di razza, genere o religione.
Questa convinzione errata implica che le persone, in particolare gli uomini, siano a disagio nel condividere le proprie difficoltà e nel mostrarsi vulnerabili. Oppure, quando riescono a farlo, si ritrovano con le tipiche risposte come “porta questo peso a Dio”, “starai bene”, ecc.
Come possiamo rendere le nostre chiese dei luoghi sicuri per le persone? Penso che possa iniziare solo quando riconosciamo che le malattie mentali sono presenti all’interno della nostra comunità, quando ne parliamo liberamente. Ma per poterlo fare, dobbiamo prima sfatare tutti i falsi miti su questo tema:
1. La malattia mentale non è una scelta.
Ho sentito dei membri di chiesa, che avevano delle buone intenzioni, suggerire a coloro che lottano con la depressione di “cercare di essere più felici” e “pregare, per spazzare via la tristezza”. Diresti a qualcuno con un braccio rotto che dovrebbe pregare, per far passare la sua malattia? Pur non dovendo sottovalutare il potere di Dio di risollevare i nostri spiriti, non dovremmo nemmeno sottovalutare il dolore associato alle malattie mentali.
2. La malattia mentale non è un peccato.
Non sei più peccatore di chiunque altro a causa della tua condizione. Mi vengono in mente gli amici di Giobbe, nella Bibbia, che si chiedevano quali peccati avesse commesso per meritare queste difficoltà. Considerare la depressione come un peccato può far sentire le persone come se stessero fallendo nel loro cammino con Dio. Questo atteggiamento li potrebbe anche scoraggiare dal cercare una cura adeguata.
3. Le persone depresse non sempre sembrano depresse.
Ho sentito di recente la storia di un ragazzo di una scuola avventista che aveva ammesso di avere pensieri suicidi. Il preside era scioccato: era un ragazzo intelligente, popolare, apprezzato da tutti. Siate consapevoli che le persone più felici e più sicure di sé potrebbero essere quelle che vivono le lotte più difficili.
La Chiesa non è mai stata pensata per essere un luogo di persone perfette, quanto, invece, un luogo dove le persone malate, incomplete, potessero trovare compassione, sostegno e guarigione.
Se tu o qualcuno che conosci ha bisogno di aiuto, contatta Lifeliner o altri servizi di sostegno locali.
Di Vania Chew
Fonte: https://record.adventistchurch.com/2019/03/13/suicide-dispelling-the-myths/
Tradotto da Tiziana Calà