Dobbiamo parlare di risurrezione. Impresa ardua, molto ardua, forse troppo. Ardua perché non è detto che questo discorso interessi tutti, o interessi tutti in uguale misura. Quello che interessa a tutti è la vita. La risurrezione, anche per chi ci crede è sempre lontana, futura. E le cose future interessano sempre meno delle cose presenti. L’interesse può farsi vivo quando, col passare degli anni, cominciamo a vedere morire intorno a noi le persone con cui abbiamo vissuto. Muore il nostro fratello Felix e allora, forse, cominciamo a chiederci che cosa sarà di lui. E poi noi stessi ci avviciniamo alla nostra morte (che non di rado oggi ci coglie di sorpresa) e può darsi che pensiamo, forse con qualche esitazione, alla nostra possibile risurrezione. Ma appunto: è sempre un interesse legato alla morte.
Ora la prima cosa che l’evangelo di oggi ci vuole dire è che la risurrezione è legata anche alla vita. Se la nostra generazione è nell’insieme poco interessata alla risurrezione è perché la collega solo alla morte. Gesù invece la collega anche alla vita.
Ma c’è un altro motivo per cui è molto arduo parlare di risurrezione. È che in fondo non sappiamo bene di cosa si tratti. Non è che non lo sappiamo intellettualmente, ma non lo sappiamo sperimentalmente. E di una cosa si può parlare bene solo se la si sperimenta. Ma chi può dire di avere fatto l’esperienza della risurrezione? In fondo viviamo tutta una vita, eppure più andiamo avanti più ci chiediamo che cosa sia la vita. Non è detto che col passare degli anni diventi più facile rispondere. A me pare che diventi più difficile. E se è difficile dire cos’è la vita, che pur viviamo, quanto più difficile sarà dire cos’è la risurrezione, che nessuno di noi ha vissuto.
È dunque davvero difficile parlare della risurrezione, e d’altra parte è altrettanto difficile non parlarne perché essa è lì, davanti a noi, in tutta la sua evidenza. Qualcuno dirà che la risurrezione è soltanto una parola. Sì, ma non è una parola nostra, è una parola di Dio. Èl’Unica parola della Bibbia che non appartiene al nostro mondo perché è situata al di qua della frontiera della morte. Le altre parole della Bibbia possiamo adoperarle: libertà, amore, giudizio, perdono, verità, perché fanno parte anche della nostra esperienza umana. Ma la risurrezione no. Essa è soltanto di Dio. Soltanto Dio risuscita. Noi possiamo dare la vita ma non risuscitarla. Possiamo dare la vita che non c’è ancora, non possiamo ridare la vita che non c’è più. Possiamo creare i vivi, ma non ricreare i morti. È per questo che non la possiamo né spiegare né commentare né illustrare: possiamo solo ascoltarla.
La nostra stessa vita, lunga o breve che sia, non è altro che una lunga introduzione all’attimo supremo della sua risurrezione. E tutta la faticosa storia umana, coi suoi pesi, il suo immenso travaglio, i suoi ritardi e le sue contraddizioni, non è anch’essa altro che una lunga introduzione al momento in cui sarà trasfigurata nella risurrezione. C’è nella tradizione cristiana una parola non cristiana che dice» Memento mori», «ricordati che devi morire». La parola cristiana è invece: Ricordati che devi risuscitare. La vita cambia se la si vive come preparazione alla morte o come preparazione alla risurrezione. E non cambia solo la vita, cambia anche la morte. L’evangelo ci invita a vivere la nostra esistenza come una lunga introduzione alla risurrezione.
Ed è qui che aggiungo una parola alla risurrezione: fede. Risurrezione e fede.
La risurrezione è per i morti, la fede per i vivi; i morti non possono più credere e i vivi non possono più risuscitare. Risurrezione e fede non sono la stessa cosa, però si rassomigliano: chi crede comincia una vita nuova e la risurrezione è la vita definitivamente e pienamente nuova. Chi crede entra nel mondo della risurrezione. Non è ancora risuscitato ma è già un agente della risurrezione. Vivere nella fede significa diventare, in questo mondo di morte, agenti della risurrezione.
Ma il messaggio evangelico non è solo racchiuso nelle due parole risurrezione e fede, è racchiuso anche in un nome: Gesù. IO SONO LA RISURREZIONE E LA VITA. Credere in lui significa credere nella risurrezione e credere nella risurrezione significa credere in lui.
Gesù di fronte la morte del suo amico Lazzaro pianse. Non è solo commozione. Una delle caratteristiche del nostro tempo è la crescente impassibilità di cui diamo prova davanti alla morte degli altri: ci stiamo abituando alla morte degli altri, alla morte di tutti. Non sappiamo più fremere, non sappiamo più reagire. Non piangiamo più. Gesù pianse, non restò impassibile di fronte la morte.
Credere in Dio non significa accettare rassegnati la morte ma credere fin da ora che la potenza del suo amore è in grado di operare la nostra risurrezione.
RISURREZIONE E FEDE
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