Da bambina, non ho mai avuto paura del buio.
Ero così preoccupata dal sognare di cantare su grandi palcoscenici o di viaggiare in giro per il mondo, che non ho mai pensato a cose come “andare a sbattere nel buio”. Questo mi ha reso abbastanza indipendente. Notte dopo notte, andavo tranquillamente a letto, riuscendo a dormire serenamente.
Consideravo il mio coraggio notturno come un segnale che la paura non rappresentava affatto un problema per me. Questo fino a pochi anni fa, quando sono stato assegnata come pastore in una parte remota del paese. Ho vissuto lì per 2 anni e mezzo, scoprendo una nuova versione di me stessa. Anche in questo caso, l’oscurità letterale non era un problema. Questa volta, era la distanza dagli amici e dalla famiglia a far paura. Lasciata solo con i miei pensieri, sembrava che il mondo fosse muto. A dirla tutta, non ho mai avuto così tanta paura in vita mia. In quel momento ho scoperto, nel modo peggiore, che non avevo paura del buio; avevo paura della solitudine.
L’errore di confrontare “l’attività” con l’importanza
Proprio come amo il cibo ad alto contenuto calorico, mi piace essere circondata da amici e persone care che mi sostengono e supportano. E questo nuovo periodo di solitudine mi ha rapidamente rivelato uno dei miei più grandi errori: equiparare “l’attività” con l’importanza. Sono sicura che molti di voi potranno capire a cosa mi riferisco. Personalmente, ho sempre avuto una routine frenetica, fin da adolescente; le prove del coro, le funzioni in chiesa, la scuola, i compiti, i concerti, gli allenamenti sportivi e i giochi mi facevano sentire produttiva, riempiendo la mia vita di significato. Infatti, quando mi veniva chiesto di presentarmi, capitava spesso che facessi una lista di attività svolte, in modo da poter essere vista come “qualcuno”.
Ma questo nuovo periodo di solitudine era pesante: l’isolamento annullava infatti tutto il “rumore” del lavoro. Immediatamente, ho sperimentato diversi sintomi di astinenza. Dormivo sempre e ben presto ho iniziato a soffrire di attacchi di panico; smaniavo per fare qualcosa. Il mio disagio con la solitudine era così insopportabile che avrei guidato per ore solo per stare vicino alla gente. Ho preso peso, per poi perderlo in seguito. Alla ricerca di una qualsiasi forma di interazione umana, ricordo di aver chiamato i miei amici quasi ogni giorno, solo per un breve saluto o un aggiornamento al volo. Ascoltavo musica e guadavo film quasi no stop. È solamente quando ho iniziato a pregare per essere liberata da questo sentimento che il Signore mi ha mandato delle persone che mi hanno fatto capire quello che stavo attraversando in quel momento. Questa solitudine non è stata frutto di un caso fortuito. È stato Dio stesso a spegnere il rumore della mia quotidianità.
Il Dio che sussurra
Elia ha avuto un’esperienza simile. In 1 Re 19 troviamo il profeta sul Monte Carmelo, vittorioso. Aveva appena difeso il Dio d’Israele in un epico scontro contro 850 falsi profeti. Avendo coraggiosamente rappresentato il Signore dei Signori, si potrebbe pensare che Elia ne fosse uscito onorato. Ebbene, invece di una parata per la vittoria o di una medaglia d’onore, Elia ricevette una minaccia di morte da Izebel, regina d’Israele. Ecco quello che fa scattare Elia, portandolo alla fuga. Spaventato per la sua vita, il profeta cerca rifugio nelle grotte delle montagne. È lì che Elia sperimenta l’isolamento e la solitudine. E dopo 40 giorni di viaggio in solitaria, Elia si trova di fronte al Signore:
“Che fai qui, Elia?” (1 Re 19:9)
E il profeta risponde,
“Io sono stato mosso da una grande gelosia per il Signore, il Dio degli eserciti, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita” (1 Re 19:10).
Non solo era privo di ogni tipo di interazione umana, ma Elia si sentiva come se fosse rimasto l’unico a credere ancora nell’unico vero Dio. Questo aumentò il suo senso di isolamento e di solitudine. Nella sua mente non c’era nessuna comunità che l’avrebbe accolto; nessun gruppo di credenti che condivideva le stesse idee, in cui poter trovare conforto e sicurezza; nessuno che credeva in Yahweh. E, peggio ancora, coloro che prima credevano, adesso desideravano la sua morte.
Ed è proprio in questo momento che Elia sperimenta il rapporto con il Signore, in un modo in cui non l’aveva mai vissuto prima. La Bibbia dice che Dio passò e venne un vento forte e impetuoso, poi un terremoto e infine un fuoco. Ma la Parola ci dice che il Signore non si trovava in nessuno di questi elementi. Era invece nel mormorio di vento leggero, come un sussurro.
Riesci a riconoscere Dio nel mormorio, mentre sussurra?
Connesso in maniera così intima con il Signore, Elia scopre che una qualche attività non rappresenta necessariamente la presenza di Dio. Sì, tutti i suoi sensi erano stimolati. Elia guardava, ascoltava, sentiva, vedeva e odorava ogni nuova trasformazione della montagna. Ma anche se l’ambiente intorno a lui si trasformava, cambiando a ogni nuovo evento, Elia non percepiva niente.
È così che Elia ci insegna che ci possono essere terremoti, fulmini, tuoni, venti forti e persino il fuoco, senza che però Dio sia presente in nessuno di questi elementi. Questo grande profeta ci mostra che è nella solitudine che possiamo sperimentare una delle più grandi benedizioni esistenti: la comunione con Dio in un mormorio di vento leggero.
Immagino sia stato un sussurro che si è diffuso nella caverna. Una voce così distinta, così riconoscibile, da attirare Elia a uscire dal suo rifugio. Ed è proprio questo mormorio che Elia ha seguito, con l’aspettativa di incontrare il Signore.
Riconoscere le benedizioni nel silenzio
La società vi farà credere che la produttività implica attività costanti. Invece è proprio il contrario: l’essere impegnati non corrisponde all’essere produttivi, anzi, spesso si tratta solo di procrastinazione. Raramente riusciamo a fare quello che davvero dovremmo fare né oltretutto facciamo quello che bisognerebbe fare in ordine di importanza. E il fatto è che il nostro corpo, la nostra mente e il nostro spirito hanno bisogno di momenti di silenzio e solitudine per “riprendersi”. Come a volte il corpo attraversa una fase di malattia, nel disperato tentativo di cercare una guarigione e una ripresa fisica, così l’anima stanca “grida” alla ricerca di un “posto” silenzioso dove rinchiudersi e riposare.
La routine del viaggio rallenta, gli impegni diventano meno faticosi, il lavoro richiede un trasferimento in una nuova città e ben presto ci si trova a vivere un momento di silenzio. Ma è importante ricordare che il silenzio non è punitivo. Vivere la solitudine e l’isolamento non vuol dire che abbiamo fatto qualcosa di sbagliato. Il silenzio è solo un compagno naturale che si alterna ai nostri momenti di frenesia e iper-produttività. Nella vita ci saranno sempre entrambe le cose. Sta a noi scegliere se accogliere e abbracciare anche questi momenti o disprezzarli. In ogni caso, il Signore continuerà a presentarci questi momenti per permetterci di “disintossicarci” e di riallacciare un rapporto profondo con Lui.
Ripensando ai tuoi momenti di silenzio, vorrei che li considerassi come delle opportunità in cui il Signore sta togliendo gli ostacoli che creano una distanza tra voi. Prego affinché il Signore insegni a ognuno di noi a gestire sia i momenti di attività che quelli di calma e silenzio. È sperimentando entrambe le cose che ci ancoriamo saldamente a Lui.
Di Lola Moore Johnston
Fonte: https://www.messagemagazine.com/articles/when-isolation-is-a-blessing-a-testimony/
Traduzione: Tiziana Calà