Quali sono le probabilità che l’embrione sopravviva?
“Direi circa il 50%”, disse un medico disinteressato, con il peggior modo di trattare i pazienti che abbia mai visto. Ci raccomandò rapidamente di andare in altri ospedali che potessero “occuparsi” di quella che secondo lui era una causa persa.
Era il 2014 e io e mia moglie Jammie vivevamo a Bangkok, in Thailandia, a migliaia di chilometri dalla nostra famiglia. Solo pochi giorni prima di questa visita d’emergenza in ospedale, avevamo scoperto che Jammie era incinta. Era stato incredibilmente emozionante. Stavamo finalmente per avere il bambino che sognavamo da anni.
Ma quella sensazione di euforia e di felice attesa è svanita quando abbiamo iniziato a vivere una complicazione dopo l’altra. Mentre le cattive notizie mediche cominciavano ad accumularsi, eravamo molto preoccupati, sentivamo un’incredibile tristezza. Era molto probabile che questa gravidanza si concludesse con un aborto spontaneo. Mentre elaboravo le scarse probabilità che il mio bambino arrivasse alla nascita, ero distrutto. Guardandomi intorno nella sala d’attesa e vedendo la gente ridere e sorridere, mi sono chiesto per cosa mai potessero essere così felici.
Jammie e io non avevamo mai affrontato questo tipo di difficoltà. Eravamo sposati da tre anni e, fino a questa orribile notizia, eravamo stati molto felici. Perché doveva succedere proprio ora? Perché questa gravidanza non poteva essere facile, come sembrava esserlo per tutti i nostri amici? Sembrava una nuvola nera sulla nostra vita e sul nostro matrimonio.
Con poche altre opzioni a nostra disposizione, abbiamo pregato e deciso che avremmo fatto tutto il necessario per far sopravvivere il nostro bambino. Se ci fosse stato un modo, l’avremmo trovato. Abbiamo chiesto consiglio agli amici del posto e abbiamo passato molto tempo nel traffico di Bangkok, visitando diversi ospedali e medici. Pregavamo disperatamente, nella speranza di ricevere buone notizie. Finalmente trovammo un medico, consigliato da molti, che ci diede un trattamento specializzato e, di conseguenza, una speranza. A poco a poco siamo tornati a essere più ottimisti, di pari passo con gli ultrasuoni che iniziavano a mostrare un sano sviluppo. Forse saremmo davvero diventati i genitori che speravamo di diventare!
Durante quest’attesa, io e Jammie siamo diventati più vicini che mai. Ci incoraggiavamo a vicenda l’un l’altra. Ogni volta che uno dei due si disperava, l’altro presentava un buon motivo per non arrendersi. Per ordine del medico, Jammie era a letto, a riposo per i primi tre mesi della gravidanza, cosa che lasciava a me il compito di svolgere alcune faccende generali. Correvo costantemente al supermercato perché le voglie di cibo di Jammie sembravano cambiare radicalmente ogni giorno.
Nonostante si trovassero in continenti diversi, dall’altra parte del mondo, ci appoggiavamo molto ai membri della nostra famiglia, soprattutto a quelli del settore medico. Li tormentavamo con chiamate sia casuali che in preda al panico per ogni tipo di problema, a qualsiasi ora. A loro va il merito di essere stati molto pazienti e disponibili. Hanno risposto alle nostre domande su cosa aspettarci in ogni fase della gravidanza e hanno calmato le nostre paure. Non avevamo mai sperimentato così chiaramente il potere della famiglia.
Col passare del tempo, abbiamo scoperto che stavamo per avere una bambina. Eravamo così felici! Svariati test, nelle diverse fasi della gravidanza, mostravano una piccola combattente, che ci rendeva già orgogliosi. Scalciava e cresceva e visto che la data del parto si stava avvicinando, era ora che mia madre e la sorella di Jammie venissero in aereo, per il grande evento. Stava davvero per nascere!
Jammie è stata portata in sala parto subito dopo la mezzanotte del 29 luglio 2015. Sembrava tutto surreale. Le infermiere si sono precipitate e il nostro medico è corso in sala parto, fresco di volo da Singapore. Dodici ore dopo, un’istantanea curiosa e sana Journie Linnea Salagubang Karlman ha salutato il mondo per la prima volta. Ho tagliato il cordone ombelicale e, mentre tenevo in mano quel miracolo “impacchettato”, non riuscivo a credere ai miei occhi. Questa era mia figlia. Ce l’aveva fatta! La conoscevo solo da pochi minuti, ma già la amavo alla follia. Finalmente ero padre.
Journie ha quattro anni ormai ed è tutto quello che speravamo e anche di più. Se avete letto alcuni dei miei articoli su Signs of the Times saprete che sono tutt’altro che immune alle difficoltà di crescere un figlio. Ho la fortuna di avere una bambina determinata, che attraversa attualmente una fase di arrampicata dei mobili, attività che scoraggio per buona parte della mia giornata. Ma siamo una famiglia felice e ne sono molto grato.
Dopo aver creato Adamo, il primo uomo, Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Genesi 2:18). Poi creò Eva, “una compagna adatta a lui”. Qui Dio parlava dell’importanza del matrimonio, mostrandoci l’altissimo valore che attribuisce alle relazioni umane. Abbiamo bisogno di sostegno; abbiamo bisogno di altre persone intorno a noi. Poco dopo, Dio disse ad Adamo ed Eva “siate fecondi e moltiplicatevi”; lì incoraggiò cioè ad avere una famiglia, a godere del legame speciale che essa rappresenta.
Siamo stati creati per vivere insieme, per trarre incoraggiamento dai nostri legami familiari. Rafforziamo questi legami nei momenti buoni e ci affidiamo a loro quando le cose si fanno difficili.
“L’amico ama in ogni tempo; è nato per essere un fratello nella sventura”, afferma Proverbi 17:17. È nei tempi difficili che la bellezza della famiglia può essere rivelata. È quando ci si sente abbandonati e soli che la famiglia può fare la differenza. Le famiglie sono state progettate per stare insieme, per aiutarsi a vicenda. Un sostegno di questo tipo è così importante per Dio che in 1 Timoteo 5:8 leggiamo che non provvedere alla propria famiglia è una negazione della fede cristiana.
È nei momenti di prova, di crisi, che la fede condivisa può fare un’enorme differenza sia nel matrimonio che nella famiglia. In 2 Corinzi 6:14 ci viene consigliato di non mettersi “con gli infedeli sotto un gioco”. Credo fermamente che una parte importante di ciò che ha aiutato me e Jammie a sopravvivere ai capitoli più oscuri della gravidanza è stata la nostra comune convinzione che Dio ci avrebbe guidato.
In Deuteronomio 6:5-9 leggiamo di amare “il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze”. Aggiunge che dovremmo incoraggiare i nostri figli a fare lo stesso. Questa fede familiare è ciò che conta quando ci sentiamo in difficoltà. Ci dà forza quando i referti medici non sono buoni, quando perdiamo il lavoro, quando abbiamo un grave incidente o affrontiamo qualsiasi altro tipo di crisi imprevista.
Dopo la nascita di Journie, Jofe, la sorella di Jammie, e mia madre sono rimaste con noi a Bangkok. Jofe si è presa una lunga pausa dal lavoro e mia madre è stata con noi per due mesi, aiutandoci a cucinare, a pulire, facendo la babysitter e sostenendoci in tantissimi altri modi, dimostrandoci l’amore e il supporto di cui avevamo tanto bisogno nei primi giorni.
In famiglia si dà e si riceve, ma so per certo di aver ricevuto molto più di quanto potrò mai ripagare. Nel mio momento di maggior bisogno, coloro che mi amavano sono intervenuti per aiutarmi. Questa dimostrazione d’amore riflette una verità più grande sull’amore di Dio per tutti noi. Romani 5:8 la mette così: “Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”. Questo è il tipo di amore che cambia tutto.
Di Bjorn Karlman, scrittore freelance che viaggia per il mondo come “nomade digitale”, vivendo in due o tre paesi all’anno con sua moglie e sua figlia.
Fonte: https://signsofthetimes.org.au/2020/05/the-love-of-family/
Traduzione: Tiziana Calà