Sono un pastore che ha la fortuna di essere sposato con la donna più meravigliosa che abbia mai conosciuto. Ma ho un segreto. Ci sono stati momenti in cui c’era anche un’altra “donna” nella mia vita. Mi sono reso colpevole di un tipo di “adulterio”. Sono colpevole di aver abbandonato mia moglie e i miei figli nei momenti in cui avrei dovuto stare con loro, e di aver invece dedicato il mio tempo in famiglia alla sposa di Cristo, la sua chiesa.
Ho sentito una chiamata al ministero pastorale attraverso circostanze che ritengo soprannaturali. Amo servire la chiesa. Tuttavia, non mi ha mai chiamato a sostituirlo. Per qualche motivo, però, sono continuamente tentato di farlo, trascurando la mia famiglia per il bene della mia chiesa. Spesso ho cercato di essere il salvatore della mia chiesa.
C’è stata una volta in cui il compleanno della mia bambina si avvicinava e avevamo organizzato una cena speciale, ma i giovani avevano davvero bisogno di un ospite per il loro prossimo evento e le tempistiche non si conciliavano. Non avrei mai potuto affidare le anime di quei giovani a un altro ospite (secondo me) meno qualificato. Così, saltai la cena del compleanno, con grande disappunto di mia figlia. A volte eravamo nel bel mezzo del culto familiare, ma io decidevo di rispondere a una determinata telefonata perché si trattava di “un’emergenza”. C’erano diversi motivi per cui ero costantemente tentato di fare questo tipo di cose, e tutti avevano a che fare con problemi di valore, limiti e aspettative non affrontati nel mio cuore.
In primo luogo, la mia bassa autostima si nutriva delle lodi e dell’apprezzamento delle persone. Avevo bisogno di affermazioni positive da parte dei membri di chiesa per sentirmi bene con me stesso, così ho modellato il mio ministero intorno a tutte le cose che le persone mi avevano detto che pensavano che i pastori dovessero fare, nella speranza che mi facessero i complimenti. Per qualche motivo, l’approvazione di una persona di cui ora ricordo a malapena il nome significava per me più delle lodi delle persone che amavo di più. Questo significava anche che mi sentivo in colpa per aver eretto barriere e confini. In altre parole, sentivo di non poter dire di “no” per proteggere la mia famiglia. Ero troppo impegnato a dimostrare a me stesso, alla mia chiesa e alla mia unione che ero “degno” della chiamata. Questo è un pozzo senza fondo che non potrà mai essere riempito.
In secondo luogo, a causa di alcune insicurezze innate, avevo davvero bisogno di sentirmi necessario. Quando le persone mi dicevano: “Oh, non possiamo farlo senza di te, pastore!”, mi sentivo sempre coinvolto. Tuttavia, questa insicurezza significava anche che facevo fatica a lasciare le responsabilità, a delegare e a dare “potere” agli altri. Quando vedevo altre persone svolgere compiti per i quali ero stato formato, sentivo che non lo facevano bene come avrei potuto farlo io, oppure mi preoccupavo che mi rendessero “vecchio” e non necessario. È stato difficile per me non intervenire e prendere in mano le redini.
In terzo luogo, sono incline allo stacanovismo per natura. Sì, il mio lavoro è essere al servizio di Dio, ma questo non cambia il fatto che il riposo e il tempo libero dal lavoro sono importanti per la gestione del mio corpo e della mia famiglia. La differenza tra me e l’avvocato o l’insegnante stacanovista del passato, tuttavia, era che avevo sempre la giustificazione perfetta che ogni volta poteva mettere a tacere le obiezioni di mia moglie: “Ma lo faccio per Dio!”.
Infine, ma non per importanza, mi comportavo così perché ero infedele a Cristo, facendo leva su di me anziché su di lui. Posso aver usato la teologia per giustificare la mia negligenza verso la famiglia e il mio superlavoro, ma la verità è che sia la Bibbia sia lo Spirito di Profezia sono chiari sul fatto che la famiglia di un pastore è il suo ministero più importante. A volte non stavo facendo la sua volontà quando li abbandonavo a favore della mia chiesa. Dopo aver analizzato le caratteristiche ministeriali con Timoteo, Paolo mette il punto alla sua argomentazione in 1 Timoteo 3:5 dicendo: “Perché se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?”. In altre parole, se non siamo bravi a guidare la nostra famiglia con amore, non siamo adatti a guidare la chiesa di Cristo. Allo stesso modo, Ellen White scrisse:
“Non è tanto la religione del pulpito quanto quella della famiglia a rivelare il nostro vero carattere. La moglie del pastore, i suoi figli e coloro che sono impiegati come aiutanti nella sua famiglia sono i più qualificati a giudicare la sua pietà. Un uomo buono sarà una benedizione per la sua famiglia. Moglie, figli e aiutanti saranno tutti migliori per la sua religione” (The Adventist Home, p. 354).
E ancora:
“Se trascura la sua famiglia per occuparsi del suo lavoro, il pastore non avrà nessuna scusa. Il benessere spirituale della sua famiglia viene prima di ogni altro impegno. Nel giorno del giudizio, Dio gli chiederà ciò che ha fatto per portare al Cristo coloro che egli stesso ha messo al mondo. Il più grande bene fatto agli altri non può dispensarlo, agli occhi di Dio, dalla cura che deve ai suoi figli” (La famiglia cristiana, p. 145).
E ancora:
“Dovete mostrare nella vostra famiglia quella gentile considerazione, quella tenerezza, quell’amore, quella dolcezza, quella nobile tolleranza e quella vera cortesia, che si addicono al capofamiglia, prima di poter avere successo nel conquistare anime a Cristo” (Testimonies for the church, vol. 3, p. 556).
Ho pagato a caro prezzo le mie scelte. Questo è ormai il mio 12° anno di ministero a tempo pieno. In questo periodo, ho sperimentato non meno di quattro volte un evento debilitante per la salute mentale legato al lavoro. Scherzo con le persone dicendo che in media mi ammalo una volta ogni tre anni. Per fortuna ora sono cresciuto notevolmente nell’area dei limiti e (per la maggior parte) ho un equilibrio molto più sano tra lavoro e vita privata e, cosa più importante, nell’ambito della mia intimità col Signore. Tuttavia, col senno di poi, vorrei essere sempre rimasto nel ruolo di servitore, invece di cercare di interpretare per così tanto tempo il ruolo di Salvatore.
I pastori sono esseri umani come tutti gli altri, il che significa che abbiamo motivazioni e questioni interne che possono spingerci in ogni tipo di direzione malsana. Per esempio, la nostra attività di lavoro per Dio spesso ci tenta a disconnetterci da lui a livello personale, giustificandoci perché leggiamo la Scrittura e preghiamo sempre nel nostro lavoro. Spesso siamo spinti dal desiderio di compiacere le persone o di dimostrare quanto valiamo a causa del nostro senso di inadeguatezza o indegnità. Molti di noi sono ciechi di fronte alle proprie vulnerabilità, che il nemico rende un bersaglio speciale per gli attacchi. Vogliamo essere ultra-professionali, supereroi che si relazionano con tutti, ma spesso fatichiamo a sapere come operare in modo sano all’interno delle nostre amicizie, dei nostri matrimoni e con i nostri figli.
Sono così grato a Gesù che mi ricorda chi sono. Sono suo figlio, chiamato nel suo nome, rivestito della sua alleanza, potenziato dalla sua presenza, riempito del suo Spirito e incaricato dalla sua Parola. Sono così felice che sia lui lo Sposo e io solo il portinaio; ed è un privilegio esserlo.
Vi invito quindi a pregare per il vostro pastore e a incoraggiarlo a tenere sempre gli occhi su Gesù, a trovare il tempo per la famiglia e a gestire il proprio tempo. A volte hanno bisogno di questo incoraggiamento, proprio come voi. Quando il vostro pastore farà buone scelte in questi ambiti, sarà meglio per lui e per la vostra chiesa.
Di Daniel Matteo, pastore delle chiese di Wantirna e Healesville. È sposato con una donna meravigliosa e ha due bellissimi figli. La sua passione è portare le persone più vicine a Dio.
Fonte: https://record.adventistchurch.com/2024/10/02/confession-of-an-unfaithful-pastor/
Traduzione: Tiziana Calà