L’ossessione della perfezione: come riscrivere la propria mentalità?

Di Magazine Avventista

Vi concentrate sui risultati o piuttosto sulla sfida in sé e sul processo di sviluppo necessario per portare a termine un determinato compito? Il modo in cui rispondete a questa domanda rivela una mentalità che ha implicazioni significative per tutti gli ambiti della vostra vita.


Secondo i pediatri Kenneth Ginsburg e Sara Kinsman, la nostra cultura venera il successo e ridicolizza il fallimento, spiegando che l’attenzione agli “eroi” della nostra società (coloro che sembrano aver raggiunto la perfezione nello sport, nello spettacolo o in altri campi visibili) dà ai giovani l’idea di dover raggiungere il vertice a tutti i costi. In effetti, negli ultimi 30 anni si è registrata una tendenza all’aumento del perfezionismo.

“Il perfezionismo può essere molto pericoloso per gli atleti o per le persone che praticano regolarmente attività fisica, perché tendono a spingere il proprio corpo oltre i limiti proprio perché non riescono a gestire facilmente il fallimento”, scrive lo psicologo Gordon Flett. In realtà, il perfezionismo non è un male solo per gli atleti: diversi studi hanno dimostrato un legame tra questo modo di pensare e la predisposizione a pensieri suicidi, a disturbi psicopatologici importanti e a una serie di disturbi fisici.

“La cattiva notizia è che i perfezionisti non sono solo ossessionati dal fallimento in un’area della loro vita; odiano gli errori di qualsiasi tipo e hanno una mentalità o tutto o niente”, spiega Flett.


L’ossessione per la perfezione è nemica dell’efficienza

Il perfezionista è una persona che “cerca di essere impeccabile, di ottenere una creazione, un risultato o una prestazione perfetta”. “[I perfezionisti] hanno difficoltà a delegare, anche se ciò significa trascurare la propria salute, le relazioni e il benessere per perseguire un risultato perfetto”, spiega la psicologa Linda Blair.

“Più che un atteggiamento o un modo di pensare, il perfezionismo è uno stile di vita”, sostiene Paul Hewitt, professore dell’università della British Columbia. Come spiega Hewitt, dietro l’ossessione del perfezionista per l’esecuzione impeccabile di ogni compito si nasconde il tentativo di perfezionare la propria identità.

Iskra Fileva, docente dell’università del Colorado, descrive due caratteristiche malsane del perfezionismo. In primo luogo, il perfezionista non si concentra tanto sul compito da svolgere, quanto sul modo in cui un eventuale fallimento si rifletterebbe su di lui. Ovviamente, questo riduce la propria efficacia, poiché le sue energie sono investite in una preoccupazione che per le persone che non soffrono di perfezionismo è piuttosto marginale.

In secondo luogo, i perfezionisti sono spinti dal desiderio di rendere il progetto a cui stanno lavorando il più riuscito in assoluto, sperando di superare se stessi ogni volta che ne iniziano uno nuovo.

Fileva esamina uno dei casi più famosi di perfezionisti che hanno sabotato il proprio successo in questo modo: la scrittrice Elizabeth Tallent, che esordì prima dei 30 anni con una raccolta di racconti pubblicata da un prestigioso editore e ben accolta dalla critica letteraria. Tallent pubblicò altre due raccolte nel decennio successivo, ma non scrisse più per oltre 20 anni. La scrittrice ha descritto la sua ambizione di superare il successo del suo esordio con l’immagine della freccia di Zenone: sempre in movimento, non raggiunge mai la sua destinazione perché deve sempre coprire la metà rimanente della distanza da ogni punto al punto finale. Quello che era un sofisma nel caso del filosofo greco è una realtà nel caso del perfezionismo: si tratta di essere eternamente alla ricerca di una perfezione sfuggente.

Secondo il reverendo William Lynch, concentrarsi su se stessi piuttosto che sul compito da svolgere significa sprecare tempo in autocritica e autoflagellazione, motivo per cui ritiene che allontanarsi da quello che lui definisce “il nostro stesso carnefice” sia la strada da percorrere.


Accogliere il fallimento

“Il fallimento è parte integrante dell’invenzione. Non è facoltativo”, afferma l’imprenditore americano Jeff Bezos, spiegando che crede nella necessità di fallire presto e regolarmente finché non si ottengono risultati positivi.

Il problema è che evitiamo ostinatamente il fallimento; abbiamo una vera e propria avversione per l’insuccesso, come hanno dimostrato gli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky nei loro studi, secondo cui l’effetto di una perdita su di noi è due volte più efficace di quello di una vittoria.

L’imprenditore Jia Jiang ha trasformato la sua paura del rifiuto in un’attività fiorente. Dopo aver appena lasciato un’azienda, stava per avviare un’attività in proprio quando uno dei suoi potenziali investitori si è tirato indietro, lasciandolo in dubbio sulla sensatezza delle sue decisioni. Jiang ha deciso di sfidare se stesso quando ha scoperto il gioco della “terapia del rifiuto”, in cui ha trascorso 100 giorni immaginando e provando scenari in cui avrebbe fatto richieste ad altri che avrebbero prevedibilmente ricevuto una risposta negativa. Alla fine del gioco, Jiang non solo aveva conquistato la simpatia di diversi milioni di persone che guardavano i suoi video su YouTube, ma anche un’invidiabile resistenza al rifiuto. “La paura del rifiuto è molto peggiore del rifiuto stesso, perché ci impedisce di provare”, dichiara Jiang.

“In effetti, nessuno può rifiutarci più brutalmente di noi stessi, ma dobbiamo ricordare che le persone che hanno cambiato il mondo sono spesso quelle che non hanno lasciato che la paura del fallimento e del rifiuto dettasse le loro reazioni”, conclude Jiang.

“Imparare a gestire il fallimento è un’abilità come un’altra, che si sviluppa con la pratica”, scrive Rachel Simmons, direttrice del Phoebe Lewis Leadership Program dello Smith College. Simmons incoraggia i suoi studenti a porsi una serie di domande quando sono riluttanti a impegnarsi in un progetto a causa del rischio di fallimento: qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere? Quali risorse ho per affrontare il fallimento? Quali vantaggi potrei trarre da un risultato indesiderato?

“Non bisogna fingere che un fallimento sia qualcosa di diverso, ma ricordarsi sempre che si è più della sconfitta subita”, afferma Simmons. Una buona strategia per superare il fallimento è imparare a trattarsi con compassione. Non sareste così critici con un amico che ha appena fallito, ma cerchereste di aiutarlo a imparare dall’esperienza e a guardare con fiducia al futuro; potete fare lo stesso con voi stessi, perché “l’autocompassione è la pratica di offrire a voi stessi la stessa grazia che dareste agli altri”.


Due modi di guardare il mondo

“Il modo in cui ci rapportiamo al successo o al fallimento, o a qualsiasi altro ambito della nostra vita, dipende da come pensiamo al nostro potenziale”, sostiene Carol Dweck, ricercatrice dell’università di Stanford. La mentalità fissa prevede che l’intelligenza e le abilità con cui siamo nati siano fissate nella pietra, per cui chi ha questa mentalità cercherà di mettersi alla prova ogni volta che potrà. Chi ha una mentalità flessibile, invece, crede di poter migliorare qualsiasi abilità con impegno e pratica.

Nel suo libro “Mindset: The New Psychology of Success”, Dweck suggerisce un esercizio immaginativo. Sei uno studente e, in un corso importante che ti appassiona molto, prendi 18 all’esame di metà corso, il che è davvero deludente. Vai al parcheggio, dove ti aspetta una multa per aver parcheggiato l’auto in una zona vietata. Infine, appesantito dagli eventi della giornata, chiami un amico per raccontargli l’accaduto, ma lui non mostra alcun segno di empatia per il tuo dolore e cerca di liquidarti. Come ti senti alla fine della giornata?

Dweck dice di aver notato che le persone con una mentalità fissa si sentono rifiutate, incapaci, non amabili, non amate, ed esagerano l’importanza di eventi spiacevoli ma tutt’altro che insopportabili.

In fondo, si tratta solo di un esame (per giunta parziale), di un voto basso ma sufficiente, di una banale multa e di un amico che potrebbe essere di cattivo umore per motivi che ancora non conosciamo. Al contrario, le persone con una mentalità flessibile non attribuiscono etichette negative, né considerano la serie di eventi spiacevoli come una catastrofe, ma sono ansiose di affrontare le sfide. Le loro risposte indicano la decisione di studiare di più per l’esame e di parlare con l’insegnante di ciò che non hanno fatto bene nel test, di parcheggiare meglio in futuro e di avere un momento di dialogo con l’amico.

“Il modo in cui si pensa ha un enorme impatto sulla vita”, scrive Dweck. Quando si tratta di valutare correttamente i propri limiti e le proprie capacità, le persone con una mentalità fissa rischiano di essere le più imprecise, mentre quelle con una mentalità flessibile sembrano avere una speciale capacità di identificare i propri punti di forza e di debolezza. È naturale: se si crede di potersi sviluppare, si è più propensi ad accettare le proprie debolezze.

Il modo in cui le due categorie si rapportano al successo, al fallimento o allo sforzo è molto diverso. “Quando si entra in una mentalità, si entra in un nuovo mondo. In un mondo, quello dei tratti fissi, il successo consiste nel dimostrare che si è intelligenti o talentuosi. Nell’altro mondo, quello delle qualità mutevoli, si tratta di mettersi alla prova per imparare qualcosa di nuovo”, spiega l’autrice. 

Mentre una categoria vede il fallimento come una battuta d’arresto, segno che non è intelligente o talentuosa, l’altra equipara il fallimento alla mancata crescita, alla mancata realizzazione del proprio potenziale. Alcuni colgono ogni opportunità per migliorare, mentre altri rifuggono dalle sfide, preferendo non mostrare le proprie carenze.

“Allo stesso modo, il disegno (e quindi il talento artistico) non è una capacità magica con cui si nasce o meno”, sostiene l’insegnante Betty Edwards. Le persone possono imparare a disegnare, ma devono imparare a vedere “bordi, spazi, relazioni, luci e ombre e l’insieme”. Gli autoritratti disegnati da persone con diversi gradi di talento nel disegno cinque giorni prima e dopo un breve corso di disegno (e pubblicati nel suo libro “Drawing on the Right Side of the Brain”) dimostrano che anche in quest’area, considerata appannaggio di pochi eletti, le capacità possono notevolmente migliorare. Infatti, questo esercizio dimostra chiaramente che “solo perché alcune persone possono fare qualcosa con poco o nessun allenamento, non significa che altre non possano farlo (e a volte farlo anche meglio) con l’allenamento”, scrive Carol Dweck. Questo non vuol dire che tutti noi potremmo essere Picasso o Mozart, ma che siamo in grado di crescere in modo sorprendente se non siamo troppo accecati dalla genialità del talento per renderci conto dell’importanza dello sforzo.

“Il modo in cui pensiamo influisce anche sulle nostre relazioni più importanti”, afferma Dweck. Chi ha una mentalità fissa crede che il partner ideale debba metterlo su un piedistallo e farlo sentire perfetto, mentre chi ha una mentalità flessibile vuole una relazione che lo aiuti a crescere, un partner che lo aiuti a correggere i suoi errori e lo incoraggi a imparare cose nuove. “Il modo in cui le persone reagiscono alle difficoltà in un matrimonio dipende anche dalla loro visione della relazione”, affermano gli psicologi Eva Wunderer e Klaus Schneewind: mentre alcuni credono che la relazione sia pre-destinata e che i partner debbano essere compatibili fin dall’inizio, altri credono nella crescita, superando quindi più facilmente le differenze che si presentano.

Uno studio pubblicato nell’agosto 2020 ha dimostrato che le persone con una mentalità di crescita sono più propense a credere che il cambiamento climatico possa essere mitigato e sono più propense a intraprendere azioni ambientali, proprio perché vedono il mondo come un’entità che può essere modellata piuttosto che una realtà che non può essere cambiata.


Come la nostra mentalità ci aiuta nei momenti di crisi

“Di fronte alla scelta tra cambiare idea e dimostrare che non c’è bisogno di farlo, quasi tutti si impegnano nella prova”, scrive l’economista e diplomatico John Kenneth Galbraith.

“Le mentalità sono costituite da convinzioni, quindi possono essere cambiate, anche se il processo non è necessariamente facile”, afferma Carol Dweck, che spiega che vedere le persone cambiare è la parte più gratificante del suo lavoro. “Il solo fatto che le persone imparino che esiste una mentalità flessibile, che ha molti vantaggi, può cambiare la loro visione della vita”, dichiara.

La nostra mente monitora e interpreta costantemente ciò che ci accade, ed è la nostra mentalità a guidare questo processo interpretativo. Il passaggio da una mentalità fissa a una flessibile si riflette in un cambiamento del monologo interiore, da una dura autocritica all’uso di feedback negativi e positivi per l’apprendimento e l’azione costruttiva.

Man mano che i risultati della ricerca di Dweck sono diventati noti a livello internazionale, sono emerse alcune critiche sulla rapida diffusione della teoria della mentalità di crescita, sulle promesse che sono state considerate esagerate, ma anche su alcuni fallimenti nel replicare i risultati degli studi della ricercatrice.

In un’intervista con la giornalista Alina Tugend, Dweck ha dichiarato che queste critiche le hanno fatto venire voglia di esplorare le mentalità a un livello ancora più profondo. “Quando si passa dalla teoria alla pratica, le cose assumono ogni sorta di sfumatura”, ha spiegato. Nel caso degli studenti, ad esempio, l’ambiente scolastico “deve sostenere il cambiamento di convinzioni e i comportamenti che ne derivano”. Inoltre, concentrarsi solo sull’importanza dell’impegno può essere una partita persa, soprattutto nelle culture che credono che gli individui dotati non abbiano bisogno di lavorare sodo per raggiungere i risultati; l’impegno è solo uno degli strumenti con cui lavora la mentalità flessibile, e il sostegno di chi ci circonda è altrettanto importante. “Di per sé, l’impegno non è solo un premio di consolazione; il suo ruolo è quello di favorire l’apprendimento”, spiega Dweck.

Dweck ha anche toccato un tema molto attuale, chiedendosi se la mentalità flessibile abbia qualcosa da offrire nel bel mezzo della pandemia. La ricercatrice ha spiegato che ha sempre rifiutato le richieste di parlare della crisi in cui ci trovavamo perché non è un’esperta di salute pubblica e non voleva sembrare una di quelle che parla di pensiero flessibile in mezzo alle perdite che la nazione stava subendo.

Tuttavia, Dweck e altri ricercatori hanno seguito il lavoro di insegnanti che avevano studiato in programmi di sviluppo della mentalità flessibile, giungendo alla conclusione che l’apertura mentale facilitava l’adattamento all’apprendimento online. Questi insegnanti si sono anche concentrati sulla creazione di un ambiente in cui gli studenti potessero aprirsi sui problemi che stavano affrontando in questa crisi, e questa disponibilità a condividere paure e lotte personali fa parte del processo di sviluppo di una mentalità flessibile.

Forse la pandemia è stata anche una delle migliori occasioni per abbandonare i falsi valori, la riluttanza a imparare cose nuove o l’eccessiva attenzione al successo o al fallimento. Forse è stata un’occasione per rendersi conto che non possiamo controllare tutto ciò che ci accade, ma anche un’opportunità per celebrare la vita in tutte le sue forme, le sue conquiste, le sue perdite e le sue età, per imparare a proteggerla e a lasciarla scorrere attraverso realtà tortuose fino ad allora sconosciute.

Soprattutto, è stata un’occasione per crescere in circostanze apparentemente ostili al progresso, perché (almeno per i cristiani) la realizzazione del potenziale non è mai stata fine a se stessa, ma piuttosto un’opportunità per dimostrare che la crescita è il frutto di un’unione ultraterrena; che tra un ramo debole e una vite della varietà più squisita non c’è limite alla crescita, purché il processo avvenga sotto l’amorevole supervisione del Vignaiolo.


Di Carmen Lăiu, redattrice di Signs of the Times Romania e ST Network

Fonte: https://st.network/analysis/top/an-obsession-with-perfection-how-can-you-rewrite-your-mindset.html

Traduzione: Tiziana Calà

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