Intervista a Tiziano Rimoldi, decano della Facoltà avventista di teologia di Firenze.
Notizie Avventiste – Il 4 e l’11 novembre scorsi, Italia, Europa e le potenze mondiali coinvolte hanno ricordato i 100 anni della fine della Prima guerra mondiale. I media hanno proposto le immmagini in bianco e nero dei soldati nelle trincee, e di un’Italia molto diversa da quella odierna, per tecnologia, cultura, costumi.
Notizie Avventiste ha rivolto alcune domande a Tiziano Rimoldi, decano della Fat (Facoltà avventista di teologia), su come la Chiesa avventista visse questo conflitto.
Notizie Avventiste: Come si pose la denominazione a livello mondiale rispetto alla Prima guerra mondiale?
Tiziano Rimoldi: Al crescere della tensione mondiale negli anni precedenti la guerra, gli avventisti guardavano all’Europa per scorgere i segni dell’adempimento della profezia riguardante il “grande malato orientale”, l’impero ottomano.
Infatti, per William Miller e, successivamente, per gli avventisti del settimo giorno, la cosiddetta “questione orientale” era connessa all’interpretazione di alcune profezie di Daniele e dell’Apocalisse. In particolare, fu l’interpretazione di uno dei più influenti leader e scrittori avventisti, Uriah Smith, esposta in articoli sulla Review and Herald e in alcuni suoi libri, che si affermò nell’ambito avventista. In estrema sintesi, il re del settentrione descritto nel capitolo 11 di Daniele era l’impero ottomano: nel versetto 45 di questo capitolo sarebbe descritto il suo abbandono dell’Europa, lo spostamento della sua capitale da Costantinopoli a Gerusalemme e la sua successiva fine, preludio alla grande battaglia di Harmaghedon di Apocalisse 16:12-16. Nel lezionario della Scuola del Sabato (la guida per lo studio personale della Bibbia e la condivisione ingruppo, ndr) del 1904, sul libro biblico di Daniele, alcune lezioni furono dedicate alla “questione orientale”: “Deve essere chiaro a ogni lettore attento che l’espulsione del Turco dal suolo d’Europa sarà il compimento del versetto conclusivo dell’undicesimo capitolo della profezia di Daniele. Ciò che rende questa linea di profezia di interesse epocale per tutti coloro che vivono oggi è il fatto che la caduta del Impero turco sarà il segnale degli eventi più sublimi che il mondo abbia mai visto”.
Questa interpretazione divenne uno dei leit motiv della predicazione avventista poiché, pur senza fissare date specifiche, alimentava il senso di imminenza degli eventi della fine, collegandolo a una prolungata crisi politica che si alimentava continuamente di nuovi episodi.
La guerra, scoppiata nell’estate del 1914, venne quindi interpretata dagli avventisti nella luce profetica, come una sorta di preparazione ad Harmaghedon. Quando il conflitto finì e ci fu piena coscienza che gli eventi bellici erano andati nella direzione opposta a quelli preconizzati (la Turchia aveva mantenuto sostanzialmente la sua parte europea, mentre Gerusalemme non ne era divenuta capitale ed era stata conquistata e controllata dagli inglesi), piano piano l’enfasi sulla “questione orientale” sparì. Questo ci ricorda che non è bene speculare troppo nel dettaglio su come le profezie bibliche si adempiranno.
N. A.: Sono stati pubblicati documenti o dichiarazioni ufficiali?
T. R.: Il 2 gennaio 1923 a Gland, Svizzera, il Comitato della European Division votò una dichiarazione di principi, che conserva ancora tutta la sua pertinenza. Il documento così concludeva: “Noi riveriamo la legge di Dio contenuta nel decalogo così come spiegata negli insegnamenti di Cristo ed esemplificata nella sua vita. Per questa ragione noi osserviamo il sabato, settimo giorno come un tempo sacro; noi ci asteniamo dal lavoro secolare in questo giorno, ma ci impegniamo volentieri in lavori di necessità e pietà per il sollievo dei sofferenti e l’innalzamento dell’umanità; in pace e in guerra noi decliniamo di partecipare in atti di violenza e di spargimento di sangue. Noi garantiamo a ognuno dei nostri membri di chiesa assoluta libertà di servire il suo paese, in ogni tempo e in ogni luogo, in accordo con i dettati delle sue personali convinzioni di coscienza”.
N. A.: La Chiesa avventista ha da sempre una posizione di non combattente. Come fu vissuta dagli avventisti, una netta minoranza religiosa, in un conflitto che ha coinvolto nazioni di diversi continenti?
T. R.: Negli Stati Uniti la Chiesa avventista, durante la guerra civile (1861-1865), era riuscita a fare riconoscere per i suoi membri la posizione di non combattenti; nel 1917, quando gli USA entrano in guerra e introdussero la leva obbligatoria, questa possibilità venne mantenuta. In Europa, c’erano alcune decine di migliaia di avventisti, in alcuni casi ben organizzati, come nel caso della Germania, dove il servizio militare anche in tempo di pace era obbligatorio; i giovani avventisti tedeschi coscritti in linea di massima accettavano l’arruolamento, rifiutandosi però di svolgere lavori regolari durante il sabato. Per questo erano spesso sanzionati con periodi di prigione.
Quando la guerra scoppiò, un dirigente della Chiesa tedesca inviò alle comunità avventiste tedesche l’appello di adempiere fedelmente i loro obblighi militari, portando armi e combattendo anche in giorno di sabato, utilizzando come giustificazione il capitolo 6 di Giosuè Alcuni membri contestarono questa posizione, rifiutandosi di prestare il servizio militare. Molti furono imprigionati e alcuni morirono per le percosse e le difficili condizioni di detenzione. Come rappresaglia, le autorità imperiali fecero chiudere diverse Chiese avventiste e solo le rinnovate proteste di fedeltà dei leader avventisti tedeschi consentirono la loro riapertura. I membri che avevano manifestato pubblicamente la loro contrarietà alle decisioni dei dirigenti furono radiati. Dopo la guerra, il presidente della Chiesa avventista mondiale, A.G. Daniells, si incontrò con il gruppo degli obiettori di coscienza, ammettendo pubblicamente che le dichiarazioni ufficiali dei dirigenti tedeschi erano sbagliate. Ma per varie ragioni, non fu possibile ristabilire una unione e in seguito venne organizzato il Movimento di Riforma.
N. A.: La storia della Chiesa avventista conserva la memoria di aneddoti e racconti di membri di chiesa chesi sono distinti per un motivo particolare in quegli anni di conflitto, sui diversi fronti?
T. R.: La Chiesa avventista italiana deve essere fiera di potere vantare tra le sue file uno dei primi obiettori di coscienza italiani: Alberto Long. Sebbene residente all’estero e sofferente per una ernia che lo avrebbe potuto far esentare dal servizio militare, si fece operare e rientrò in patria per servire come infermiere. Con ottusità burocratica, invece di trarre profitto delle competenze di Alberto, l’esercito lo mandò in prima linea. A più riprese le autorità militari cercarono di persuaderlo, con le buone o con le cattive, a prendere il fucile. Minacciato, percosso, arrestato, venne processato davanti a diversi tribunali militari, rischiando la pena di morte. Riconosciuto che non era un vigliacco e che aveva profonde convinzioni religiose, Alberto venne comunque condannato a venti anni di prigione. Solo dopo la fine della guerra venne amnistiato, non senza prima avere prestato la sua opera presso i suoi compagni di carcere durante l’epidemia di influenza spagnola.
Fonte: https://news.avventisti.it