Matthias, ti puoi presentare con poche parole?
Sono Matthias Maag. Sono nato a Berna in una famiglia avventista e sono cresciuto a Morat. Quando ero adolescente, di fronte a delle tensione tra i miei genitori, mi sono ribellato e ho lasciato la chiesa. Tagliai i ponti con il Signore e tutti i miei amici della chiesa. Affrontai una forte crisi per una dozzina d’anni, fino all’età di 20 anni. Cominciai a lavorare per UBS a Zurigo: fu l’inizio di un cambio di vita. Dissi a Dio che volevo vivere una vita retta. Grazie a un amico, Joaquim, ripresi i contatti con i cristiani e con degli avventisti. Seguii degli studi biblici con la famiglia Schonmann di Cernier. Dopo qualche anno, i miei genitori si riconciliarono, ma mia madre aveva un cancro e morì nel 2001.
Come sei diventato pastore?
Dopo molti anni e tante domande, ho trovato il mio cammino. È stato più che altro Dio che mi ha trovato, come dice la Bibbia. Ho scoperto un Dio d’amore. Non pensavo che mi avrebbe dato una nuova opportunità, un nuovo inizio. Nello stesso periodo, ho sentito la vocazione per diventare pastore. Per un anno ho detto a Dio che non ero pronto. Ma la voce di Dio ha insistito “Vai a Collonges”. Ne feci un soggetto di preghiera. Digiunai. E visitando Collonges, Dio mi disse “è qui”. Vi feci gli studi di teologia e feci il tirocinio pastorale nel Ticino.
Cosa ti stimola in questo ministero?
La mia conversione fu dolorosa, difficile. Perché il nemico non ti lascia facilmente. Ma la più grande rivelazione fu quando mi resi conto che Gesù mi ha salvato, Gesù torna presto. Ero assetato della Parola, delle profezie. Da quel momento, ho sempre questo sentimento di bisogno. Gesù ritorna! Dal 1992, cioè da 25 anni, ciò mi da equilibrio.
A proposito, parlando di equilibrio, come hai vissuto i primi anni del ministero?
Mi ricordo che quando ero a Collonges per i miei studi, predicavo nelle chiese della FSRT, facevo parte degli animatori dei campeggi dei Tizzoni-Explo in estate, ero vice-precettore della struttura Horizons a Collonges, e mi fu chiesto di collaborare nelle attività sportive a Collonges. Ero presidente della classe uscente, cioè mi occupavo di organizzare dei progetti e di raccogliere fondi per gli eventi.
Alla fine dei miei studi, la FSRT mi propose di essere pastore in Ticino. Ma dovevo imparare l’italiano. Sono stato allora sponsorizzato per passare due mesi a Firenze. Fin dall’inizio, ero sempre impegnatissimo, dalla mattina alla sera.
Come lo spieghi?
Di nuovo quel sentimento di bisogno. Gesù ritorna preso e si dice con zelo. Inoltre, ero in guerra con il nemico. Per molto tempo mi aveva tenuto lontano dal buon cammino e avevo quindi l’impressione di dover recuperare dando tutto per il Signore.
Come vivevano la tua foga, il tuo lato zelante le persone che ti circondavano?
Fin da bambino ero molto vivace. Fui anche un adolescente irrequieto (alcool, droga, qualche giorno in prigione). Quindi quando incontrai Gesù e mi diedi a fondo per la Sua causa, chi mi era attorno pensava “Passa da un estremo all’altro. Durerà qualche mese, qualche anno al massimo, è una fase, gli passerà”. Ma dura da 25 anni (risate).
Quando hai cominciato a renderti conto che questo ti danneggiava?
Con la pratica! Quando si è più giovani, si hanno più energie e ci si recupera più velocemente. Ma con l’età, si impara dall’esperienza. E ho cercato un equilibrio.
Per molti anni, anche da sposato, non ho mai preso nemmeno un giorno di ferie. Le persone della chiesa erano contente di avere un pastore che fosse sempre disponibile.
Fu nel 2000 che le cose cambiarono. Stefania, mia moglie, era incinta. Sua sorella mi chiamò mentre ero a uno campeggio GA in montagna, per dirmi che si erano rotte le acque. E io dissi “Ok, si sono rotte le acque”. Non avevo capito cosa volesse dire. Furono degli animatori che mi avvisarono dicendo che dovevo fare i bagagli e dovevo correre per raggiungerla (risate). Sono arrivato giusto in tempo per la nascita di Eleonora.
Fu lì che cominciarono i problemi. Mia moglie incominciò a essere fragile, a causa della mancanza di sonno e della fatica. E quindi, quando il bimbo piange, grida di notte, cosa fai? Vai!
Nonostante tutto, non hai fermato il tuo ritmo sfrenato?
Amavo sempre il mio ministero. Il lavoro era sempre così intenso. Provai a conciliare le due cose. Nel 2001 ci trasferimmo in Sicilia. Mi occupavo di diversi gruppi e chiese. Ci furono molti battesimi. Ero molto contento, entusiasta.
Mi invitavano a predicare in Sicilia, in Germania, etc. Viaggiavo a volte per delle intere settimane. Continuavo a essere animatore nei campeggi GA.
E lì si raggiunse l’apice della crisi. Molte volte Stefania si sentiva sopraffatta. Cercammo il parere dei medici. E uno specialista diagnosticò un momento di depressione.
Quale fu il crollo?
Il giorno in cui trovai mia moglie per terra fu il crollo. Mi svegliò.
Parlai molto con Dio in preghiera e Lui mi mostrò chiaramente che dovevo rallentare. Infatti, il Signore mi chiese: cos’è più importante per te? Il tuo ministero o la famiglia?
In quel periodo mi resi conto che avevo commesso l’errore di mettere Dio al primo posto, poi il ministero e poi la famiglia. Mentre avrei dovuto mettere Dio al primo posto, poi la famiglia e solamente dopo il ministero. Ho dovuto cambiare tutto.
E hai cambiato tutto andando via..
Sì, lasciai il campo siciliano perché non so se restando in Sicilia la mia famiglia sarebbe rimasta unita e intatta. Ma ci è voluto del tempo. Non si è fatto né in un giorno né in un mese. Passammo un anno in preghiera, a pensare prima di decidere di partire.
Era sempre presente in me il desiderio di essere missionario. Abbiamo vissuto 9 anni nel campus dell’università avventista in Africa del Sud dove Stefania imparò l’inglese e io perfezionai il mio. Eleonora iniziò la scuola. Continuammo a essere al servizio della chiesa. Ma furono degli anni dedicati a noi, alla nostra famiglia. Fu straordinario. Eravamo insieme come una famiglia. Ognuno ha potuto studiare. E abbiamo potuto continuare a lavorare per la chiesa ma senza pressione. Iniziai addirittura a occuparmi di una chiesa in mancanza di un pastore. Ma per questo, decisi di sacrificare i miei studi e non la mia famiglia. Conciliai la mia passione di salvare delle anime con la vita personale. Predominò l’equilibrio.
Che consiglio daresti a chi vive attualmente questo zelo nella chiesa o nella vita personale?
Pensando alla mia esperienza, direi che bisogna innanzitutto capire che non siamo Dio, è Lui che controlla le cose. E poi, non siamo indispensabili. Non siamo noi che salveremo il mondo. Per colpa di questo zelo, si rischia di fare delle cose che Lui non ci ha chiesto. E alla fine, si rischia di ammalarsi, di distruggere la famiglia, allontanare i propri figli. Ringrazio Dio perché oggi mia figlia ha 16 anni. Tutte le mattine viviamo un momento insieme, leggiamo un testo della Bibbia e preghiamo.
Sono molto contento di aver ritrovato un certo equilibrio e di avere una famiglia unita. Per tutto questo, ringrazio il Signore. Mi ha svegliato. Gloria a Dio.