tedNEWS/Maol – Il 20 marzo, nel mondo si è celebrata la Giornata internazionale della felicità. In realtà, questo è il nome ufficiale dato dalle Nazioni Unite. Per fortuna, la felicità non è obbligatoria. In questa giornata siamo tenuti a promuoverla come diritto umano fondamentale e a svolgere un’azione sociale per aumentare la felicità in tutto il mondo.
La felicità è sancita nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, e l’Indice che misura la felicità nei paesi del nostro pianeta colloca gli USA al 13° posto, leggermente al di sopra di Costa Rica, Portorico e Germania… Ma prima di sorprenderci, ricordiamo che il Regno Unito è solo al 23° posto, anche se ben al di sopra di Francia, Slovacchia e Italia. In cima si trovano, come al solito, i paesi scandinavi, anche se la Svezia risulta al 10° posto.
Mi sembra che promuovere la felicità sia come trattare i sintomi piuttosto che le cause. Ad essere onesti, le Nazioni Unite hanno anche stabilito gli obiettivi sostenibili, tra cui «porre fine alla povertà e alla fame, aumentare l’assistenza sanitaria e la qualità dell’istruzione, raggiungere la parità di genere e molti altri grandi obiettivi umanitari dai quali il mondo potrebbe trarre beneficio».
La felicità è generalmente il risultato di condizioni e aspirazioni di base. Naturalmente, per quanto riguarda le aspirazioni, possiamo consigliare alle persone di accontentarsi del loro stato, oppure possiamo incoraggiarle a realizzare il loro potenziale.
La nostra moderna società consumistica sostiene l’idea che avere il meglio di tutto sia un diritto fondamentale, e coloro che non hanno tutto sono dei falliti. Non c’è da meravigliarsi, allora, che la felicità scarseggi. Persino i bambini sono portati a sentirsi falliti se non hanno l’ultimo modello di iPhone.
L’errore fondamentale del concentrarsi a perseguire la felicità è che… non può essere perseguita. Sfuggirà sempre a chi ci prova, a ogni passo l’obiettivo si allontanerà, come l’oro alla fine dell’arcobaleno. Perseguirla è un esempio di assioma in cui ci concentriamo su ciò che possiamo misurare: il PIL, i tempi di attesa in ospedale e perfino i battesimi in chiesa.
Nel cercare di raggiungere statistiche migliori, spesso manchiamo gli obiettivi veramente importanti: il benessere delle persone, il miglioramento della salute della nostra nazione o il modo in cui le nostre chiese mostrano il carattere di Dio.
Mi viene in mente l’esperienza della chiesa primitiva raccontata negli Atti degli Apostoli: «E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati» (2:46-47 ).
Nessun programma, nessuna raduno, nessuna campagna: solo vivere la vita con entusiasmo e gioia. Ah! La felicità!