Caleb: concentrarsi sulle promesse, non sui problemi

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“Non siamo bravi come loro”. “Loro sono migliori di noi”. “Non possiamo batterli”. Se vi piace praticare uno sport di squadra, è inevitabile che sentiate o pensiate queste frasi. Io amo fare sport, amo soprattutto giocare a basket. Quello che non amo sono i commenti negativi. Li detesto con tutto me stesso.

Quando stiamo giocando, non voglio fare un time-out e iniziare a parlare di quanto sia migliore l’altra squadra. Questo tipo di discorsi non fa altro che predisporre alla sconfitta.

L’obiettivo principale di un time-out è quello di riaggiustare la concentrazione. Nella mia carriera sportiva ho partecipato ad alcune belle rimonte. Tutte sono iniziate durante un bel time-out.

Durante una partita di inizio anno, la mia squadra era sotto di 18 punti. Il punteggio sul tabellone può influenzare la fiducia in campo. La nostra squadra stava facendo dei buoni tiri, ma non andavano a canestro. Un momento che ha cambiato la traiettoria della partita è stato durante un time-out. Ci siamo riuniti e abbiamo capito che non stavamo giocando secondo i nostri punti di forza. Gli avversari erano più in forma e più veloci di noi e noi abbiamo cercato di giocare secondo i loro punti di forza. In questo momento ci siamo incoraggiati l’un l’altro e ci siamo ricordati che potevamo vincere. Ci siamo quindi concentrati sui nostri punti di forza e quando abbiamo sbagliato un tiro ci siamo detti: “Okay, andrà bene il prossimo”.

Alla fine abbiamo vinto la partita con un tiro da tre punti. Se ci vedevate giocare nel secondo tempo non si poteva dire che eravamo la stessa squadra del primo tempo. C’era stato un cambiamento importante nel nostro atteggiamento. Nel primo tempo ci siamo sentiti frustrati quando l’arbitro non ha fischiato un fallo a nostro favore. Il nostro linguaggio del corpo parlava chiaro: quando sbagliavamo un tiro, scuotevamo la testa. È facile mantenere la calma quando si vince, ma quando si perde è molto più difficile.

Durante quel time-out invece, la nostra attenzione non era rivolta al tabellone. Non ci siamo concentrati sulle qualità dell’avversario. Non ci siamo concentrati sugli errori che gli altri avevano commesso nel primo tempo. Ci siamo concentrati su quanto sapevamo che la nostra squadra poteva giocare bene. Ci siamo concentrati sulle cose giuste.

 

Caleb è una figura interessante che viene menzionata solo poche volte nella Scrittura. L’impatto di Caleb, però, la dice lunga sul suo carattere: un carattere fondato sulla fiducia in Dio.

In Numeri 13 troviamo la storia di una spedizione a Canaan. Dio dice a Mosè: “Manda degli uomini a esplorare il paese di Canaan che io do ai figli d’Israele. Mandate un uomo per ogni tribù dei loro padri; siano tutti loro capi”. A partire da questo comando, Mosè fa come dice Dio e sceglie 12 uomini, uno per ogni tribù; sceglie 12 leader. Caleb è uno dei leader scelti. Rappresenta la tribù di Giuda. Nel continuo della storia, Mosè dà loro le istruzioni per valutare il territorio durante la loro permanenza. In Numeri 13:18-20, Mosè dice loro quali sono le cose da tenere d’occhio. Una in particolare si trova nel versetto 18: “E vedrete che paese è, che popolo lo abita, se è forte o debole, se è poco o molto numeroso”. Tenete a mente questo versetto: ci torneremo.

Questi uomini tornano dall’esplorazione del paese dopo 40 giorni. Tornano all’accampamento israelita per riferire ciò che hanno visto e sperimentato.

Immaginate di essere una delle persone nell’accampamento che finalmente ha la possibilità di sentire com’è la terra promessa. Canaan era la terra che Dio aveva promesso ad Abramo molto tempo prima e il popolo d’Israele, crescendo, aveva sentito storie su come un giorno avrebbe ereditato quella terra. Immaginate l’impazienza, l’emozione. Immagino tutti, dai bambini agli anziani, pieni di gioia nell’ascoltare un grande resoconto.

Quando gli uomini fecero il loro resoconto, l’inizio fu positivo: “Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ed ecco alcuni suoi frutti”. Il resto del resoconto termina con la negatività. Gli uomini iniziano a elencare quanto siano potenti gli abitanti di Canaan, quanto siano fortificate le città e quanto sia grande.

Caleb, turbato dai resoconti negativi, coglie l’occasione per intervenire. “Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè, e disse: Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo” (v. 30). Gli uomini che erano partiti con Caleb risposero dicendo che non potevano attaccare quella gente perché era ben più forte. E la Bibbia lo conferma al versetto 32: “[…] e screditarono presso i figli d’Israele il paese che avevano esplorato” sul paese e su tutte le loro scoperte.

È importante notare che Caleb fece tacere il popolo. Cioè ha fermato la negatività d’Israele. Non dice che chiese gentilmente: “Per favore, fate silenzio, voglio dire qualcosa”. La Bibbia dice: “Caleb calmò il popolo che mormorava”; questo dimostra chi era Caleb. Caleb era un leader. Troviamo che questa qualità è comune tra i leader. La capacità di dirottare l’attenzione. La capacità di prendere il comando. Quando ho letto questa storia, ho pensato che in questo primo discorso Caleb non menziona mai Dio. Ma deve aver pensato che Dio era presente, mentre incoraggia il popolo a salire verso la terra promessa, perché potevano conquistarla.

Aveva piena fiducia in Dio e confidava che Dio avrebbe fatto ciò che aveva detto che avrebbe fatto.

Vorrei poter dire che la cosa si fermò lì, dopo l’intervento di Caleb, ma Numeri 14 continua a descrivere le conseguenze negative dei loro cattivi rapporti.

Sembra che abbiano iniziato a discutere con Caleb e, più tardi, quella notte, tutto Israele si riunì, pianse e brontolò contro Aronne e Mosè, dicendo cose come: “Fossimo pur morti nel paese d’Egitto! O fossimo pur morti in questo deserto!”.

Di nuovo Caleb, questa volta con l’appoggio di Giosuè, entra in scena. I due si stracciano le vesti e supplicano il popolo. Il paese è “buono, molto buono”, dicono loro. “Se il Signore ci è favorevole, ci farà entrare in quel paese” (v. 8), dichiarano con veemenza.

“Soltanto, non vi ribellate al Signore e non abbiate paura del popolo di quel paese, poiché ne faremo nostro pascolo; l’ombra che li proteggeva si è ritirata, e il Signore è con noi; non li temete”.

La loro fede è assoluta. Caleb dice al suo popolo che Dio ha dato loro quella terra. Tutto ciò che devono fare è reclamarla.

La sua attenzione non era rivolta alle sfide che lo attendevano, ma alle promesse di Dio. L’attenzione di Caleb era rivolta alla terra promessa.

Abbiamo solo poche altre menzioni di Caleb nella narrazione biblica, ma ogni volta che viene menzionato, la sua attenzione rimane sulla missione: conquistare la terra promessa.

 

Mentre scrivo questo articolo, sono attualmente seduto su un divano con la gamba sostenuta da un tutore. È facile concentrarsi sulle cose che non posso fare. È facile anche dispiacersi per me stesso. Quello che sto scegliendo di fare in questo periodo di guarigione è concentrarmi su chi è Dio. Le promesse che fa: Dio mi guarirà; Dio è con me; Dio ha formato una via.

È importante sapere che in questa vita sperimenteremo delle difficoltà. È inevitabile. Forse in questo momento state vivendo avversità e sfide che sembrano schiaccianti. La convinzione che non ci sia una via d’uscita sembra più facile da mantenere che rimanere fiduciosi.

So che il nemico è il più grande bugiardo. Ci inganna e ci fa credere che le nostre circostanze resteranno uguali per sempre. Eppure Paolo ci dice che siamo più che vincitori, grazie a Gesù (cfr. Romani 8:37). Quando ci concentriamo sulle promesse di Dio, il modo in cui vediamo la vita cambia. Cambia il modo in cui vediamo le sfide. Il modo in cui vediamo noi stessi cambia. Concentriamoci sulle promesse di Dio, non sui nostri problemi. Perché Dio non infrange mai le sue promesse e non inizierà a farlo ora.

 

 

Di SJ Foaga, studente di teologia dell’Università di Avondale.

Fonte: https://record.adventistchurch.com/2024/10/30/caleb-focus-on-promises-not-problems/

Traduzione: Tiziana Calà

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