Bob Dent è stato il primo a morire in Australia seguendo le leggi dell’eutanasia assistita. Questo avvenne nel settembre 1996, un paio di mesi dopo che il Territorio del Nord aveva approvato la legge sui diritti dei malati terminali.
Ha chiesto che la “legislazione più compassionevole al mondo venisse rispettata” e si era detto “immensamente grato” di poter finire la sua vita in modo dignitoso e compassionevole.
Bob Dent viveva a Darwin e aveva 66 anni quando è morto. Da cinque anni soffriva di cancro alla prostata. Gli avevano dovuto rimuovere entrambi i testicoli, cosa che lo aveva portato a vivere un’esistenza d’incontinenza, dolori e totale dipendenza dagli altri. Indossava un catetere e una borsa da gamba e aveva bisogno di assistenza 24 ore su 24.
“Non posso nemmeno ricevere un abbraccio, per paura che mi si rompano le costole”, ha affermato. Era inoltre preoccupato della pressione e sofferenza che la sua situazione stava procurando alla moglie.
Ha lasciato un messaggio rivolto ai cristiani: “La Chiesa e lo Stato devono rimanere separati. Che diritto hanno gli altri, a motivo della propria fede religiosa (che personalmente non condivido) di esigere che io mi comporti secondo le loro regole fino al momento in cui qualche onnisciente medico non decida che ne abbia avuto abbastanza, decidendo di aumentarmi la morfina fino a farmi morire?”
“Se non siete d’accordo con l’eutanasia volontaria, non usatela, ma non negatemi il diritto di ricorrervi quando voglio”.
Il desiderio di una morte “dolce”
La parola “eutanasia” significa “morte serena” o “morte dolce”. E chiunque abbia visto durante le sue ultime fasi della vita una persona cara soffrire o lottare mentalmente ed emotivamente senza trovare sollievo, troverà conforto all’idea di una morte dolce.
Sentiamo già abbastanza storie che ci fanno fermare a riflettere per vedere se esiste un modo migliore di procedere. Poi c’è l’analogia comune: non permettiamo agli animali di soffrire così, perché gli esseri umani dovrebbero invece soffrire?
Negli ultimi decenni, i legislatori hanno subito numerose pressioni da parte dei sostenitori dell’eutanasia in Australia e in Nuova Zelanda. Ora la campagna elettorale, a lungo portata avanti, sta avendo successo.
L’eutanasia è stata legalizzata per la prima volta in Australia nel Territorio del Nord, nell’agosto del 1995. È rimasta in vigore fino a marzo 1997, quando il Parlamento federale ha tolto ai suoi territori il potere di legalizzare l’eutanasia.
A differenza dei territori, gli stati australiani hanno il potere di agire in maniera indipendente riguardo il tema dell’eutanasia ma le leggi non sono passate in Tasmania (2013), Australia Meridionale (2016) e nel Nuovo Galles del Sud (2017). Nel 2017, Victoria è stato il primo stato a legalizzare l’eutanasia.
La nuova legge consente l’eutanasia volontaria o la morte assistita a partire dalla metà del 2019. Secondo la legge, per dirla con parole semplici, i malati terminali di età superiore a 18 anni, con gravi dolori e a cui saranno diagnosticati solo sei mesi di vita, potranno accedere a farmaci letali.
Nel frattempo, in Nuova Zelanda, ci sono stati due vani tentativi di introdurre l’eutanasia volontaria. Entrambe le leggi “Death with Dignity” (letteralmente, morire con dignità) sono state bocciate nel 1995 e nel 2003. Un disegno di legge più recente ha superato la prima lettura nel dicembre 2017 (76 voti favorevoli contro 44 voti contrari). Tale sostegno indica che probabilmente diventerà legge dopo un dovuto processo.
“L’eutanasia passiva” viene accettata
Un secolo fa, la pratica medica comune consisteva nel fare tutto il possibile per mantenere in vita una persona. Questo pensiero è stato contestato quando, nel 1915, Anna Bollinger ha dato alla luce il suo quarto figlio all’ospedale Tedesco-Americano di Chicago. Il bambino era nato blu e con gravi deformazioni.
Harry J. Haiselden, il capo del personale dell’ospedale aveva diagnosticato che senza un intervento chirurgico, il bambino sarebbe morto. Tuttavia, “in una decisione le cui conseguenze si sarebbero propagate da una costa all’altra del paese, finendo per segnare una pietra miliare nella storia dell’eutanasia in America”, Haiselden ha sconsigliato l’intervento chirurgico”, come ha dichiarato Ian Dowbiggin nel libro “A Merciful End” (letteralmente, una fine dignitosa).
Aveva invece affermato che “avrebbe aspettato passivamente, lasciando che la natura finisse il suo lavoro incompleto”.
“La fama che circondava la sua condotta professionale, eclissando brevemente le notizie della prima guerra mondiale, ispirò altri americani a sostenere la morte dei bambini deformi per il bene della società”.
La sua azione ha contribuito a portare un cambiamento di mentalità. Adesso il ritiro di farmaci o di procedura salvavita che prolungherebbero la vita è una pratica accettabile e comune in simili circostanze. Questo processo è stato chiamato “eutanasia passiva”, perché permette che il processo naturale di morte avvenga senza un intervento diretto.
Tutto questo ha fatto ampliare il settore delle cure palliative.
Le cure palliative
Le cure palliative in punto di morte si verificano quando gli operatori sanitari, con la famiglia e il paziente (quando possibile), riconoscono che non ha senso continuare con un trattamento aggressivo per combattere la malattia o il problema.
“Le cure palliative ricordano fondamentalmente che ci prendiamo cura di tutta la persona”, afferma Natasha Michael, direttrice della medicina palliativa al Cabrini Health, un ospedale cattolico nella parte orientale di Melbourne. “Non prendiamo in considerazione solo i bisogni fisici di una persona ma anche quelli psicosociali, spirituali, emotivi ed esistenziali”.
“Si parla di qualità di vita, non della fine della vita”, aggiunge. In opposizione alla legislazione sull’eutanasia, la sua richiesta è quella di avere delle cure palliative migliori.
Brian Owler, l’importante neurochirurgo che presiede il comitato consultivo di Victoria per la legislazione sulla morte assistita, riconosce le cure palliative come l’elemento principale nel trattamento dei pazienti alla fine della loro vita e accetta che continueranno a esserlo.
Un argomento di divisione?
In un certo senso, l’eutanasia non è un tema che crea divisioni. In un sondaggio del 2016, oltre 204.000 australiani si erano detti al 75% d’accordo con questa affermazione: “I pazienti terminali dovrebbero essere in grado di terminare legalmente la propria vita grazie all’aiuto dell’assistenza medica”.
Tuttavia, Malcolm Turnbull, il primo ministro australiano, aveva dichiarato che le questioni relative alla fine del ciclo di vita erano “piene di difficoltà pratiche e, ovviamente, morali”, affermazione che aveva scatenato una certa opposizione.
Mentre Dent, nel suo letto di morte, aveva identificato le chiese come oppositrici all’eutanasia (non tutte lo sono), i gruppi religiosi non sono gli unici detrattori. Per esempio, l’anno scorso l’associazione Medica Mondiale (AMM) ha scritto ai parlamentari vittoriani, esortandoli a non votare la proposta di legge.
L’AMM sosteneva che non era etico per un medico assistere un paziente e guidarlo alla morte, anche se era stato il paziente a richiederla. “Si creerà una situazione di conflitto diretto con gli obblighi etici dei medici nei confronti dei pazienti e danneggerà l’eticità della professione”.
In tutta risposta, la sezione vittoriana dell’Australian Medical Association (AMA) ha reagito duramente, contestando sia il linguaggio della lettera sia l’affermazione che sosteneva che i medici non avrebbero agito in maniera etica, sottolineando in particolare i diversi punti di vista riguardo l’eutanasia all’interno della professione medica.
Tuttavia, va notato che la posizione ufficiale dell’AMA è che “… i medici non dovrebbero essere coinvolti in interventi che abbiano come intenzione primaria la fine della vita di una persona”.
La teoria e la pratica
La vita umana è preziosa e questo è un dato di fatto. E, per i cristiani, è doppiamente preziosa grazie al sacrificio fatto da Dio per mezzo di Gesù, in favore di tutti gli uomini creati a sua immagine (Giovanni 3:16).
È facile dire che non dobbiamo fare nulla per accelerare la morte. E molte chiese e confessioni religiose sono contrarie e hanno fatto dichiarazioni contro l’eutanasia attiva in qualsiasi circostanza, compresa la mia.
Fortunatamente la grande maggioranza di noi non dovrà mai affrontare la questione in prima persona. Anche se noi o uno dei nostri cari dovesse affrontare una morte lenta, è probabile che le cure palliative ci metteranno a nostro agio, permettendo la triste ma necessaria “dolce morte”.
I cristiani che si oppongono all’eutanasia però devono mostrare grazia e comprensione quando le persone decidono di compiere questo passo come ultima risorsa del suicidio assistito. E di avere compassione per le persone coinvolte, compreso il personale medico.
Mark Carr, ex direttore del Centro di Bioetica Cristiana dell’università di Loma Linda, in California, afferma: “I medici [cristiani] vogliono prendere a modello la compassione di Gesù Cristo. Vorrebbero fare del proprio meglio per estendere il ministero di guarigione di Cristo”. Tuttavia, può diventare difficile se un paziente morente con dolori costanti richiede di ricorrere all’eutanasia legale, affermando una cosa come: “Ho lottato cercando di rispettare che sia Dio a guidarmi e la mia famiglia è del mio stesso parere: sentono come se anche Dio fosse aperto a questa strada”.
Carr continua dicendo che sarebbe davvero difficile per il medico dire: “Sapete cosa? Lavoro con voi da 25, 30 anni. Non posso proprio accompagnarvi in questi ultimi passaggi… Questa è una lotta per il medico e spero che possiate capire che continuerà a essere una lotta”.
Poi c’è la persona che chiede l’eutanasia. Dent sosteneva che se fosse stato un animale con quel tipo di sofferenza, avremmo perseguito legalmente chiunque avesse permesso che tutto questo continuasse. Possiamo facilmente capire il suo pensiero.
Adesso che l’eutanasia legale sembra inevitabile in alcune parti del mondo, i cristiani, indipendentemente dalla loro opinione personale, dovranno dimostrare compassione per le persone e le famiglie di coloro che compiono questa scelta.
Ci sono momenti in cui è “cristiano” mettere da parte qualsiasi argomentazione personale, in favore o contro certe azioni, per essere lì per gli altri, molto semplicemente. Questo è uno di quei momenti.
Di Bruce Manners
Fonte: https://www.hopechannel.com/read/seeking-a-good-death-the-challenge-of-legalised-euthanasia
Tradotto da Tiziana Calà
Foto: Katarzyna Bialasiewicz – iStock