Dio è tutto questo.
Era una mattina presto, ma non di quelle che mi piacciono. Le mie mattine preferite sono a letto, a guardare il sole che sorge, il colore che si diffonde nel cielo, a parlare con Dio o con mio marito, Greg. Sono quelle mattine rilassate e intime, in cui la vita viene assaporata e i singoli momenti sono importanti.
Ma quel giorno è stato diverso. La sveglia è suonata alle 3:15 del mattino, accompagnata da un mio grugnito. Greg si stava già dirigendo verso la doccia, mentre io incespicavo nel buio, irritata per la mancanza di sonno e per la fretta di andare all’aeroporto. Questi sono i giorni più duri, la fretta di infilare tutto nella valigia, la corsa in autostrada, poi l’attesa angosciosa per consegnare una valigia o passare i controlli di sicurezza. Quel giorno siamo arrivati al gate con un po’ di tempo a disposizione.
Mi sono seduta, guardando fuori dal finestrino, anche se era ancora troppo buio per vedere qualcosa. Tanto vale rendersi utili, Jill. Scavando nel bagaglio a mano, ho tirato fuori il mio portatile. Il lavoro non si fermava mai; questo era un posto come un altro in cui immergersi di nuovo. Mezz’ora dopo, il rumore dell’aeroporto si era affievolito, quando all’improvviso si è sentita la voce dell’agente della Southwest. “Dalla fila 1 alla 30, mettetevi per favore in fila da questo lato”. Greg e io abbiamo preso posto in fila, mentre io mi destreggiavo tra i documenti e il mio portatile, senza quasi accorgermi del signore anziano che era dietro di me. Ma poi ho sentito una voce femminile che mi ha fatto voltare. “Ecco il tuo biglietto; sei in A24”. Perché dire a un adulto il suo numero in fila?
Era carina, con i capelli corti e un braccio attorno alle spalle dell’uomo. “Stai qui e segui questa fila di persone”.
Lui ha scosso la testa. “Ho volato tante volte, so come fare”.
Lei gli ha sorriso: “Lo so, papà. Ecco il tuo zaino, pronto a indossarlo?”. Improvvisamente si è messa a piangere, stringendolo forte, come se lei fosse il genitore e lui il bambino. “Andrà tutto bene”, gli ha detto. “Chiamami più tardi”. E poi se n’è andata, tornando verso la sicurezza. Era dall’11 settembre che non vedevo qualcuno passare i controlli senza biglietto. Era chiaro che le era stata concessa un’esenzione speciale a causa dei problemi di memoria del padre.
Quell’uomo si è raddrizzato e ha cominciato a parlare con noi. Un paio di volte ha chiesto: “Dove vado adesso?”, ma è riuscito a salire sull’aereo, sedendosi nella fila davanti a noi. Mi sono interrogata sulla sua storia, sul loro legame padre-figlia e su cosa li avesse portati in quel luogo.
Più tardi siamo atterrati a St. Louis; usciti dal terminal ho visto una bambina di circa 10 anni che aveva già incrociato gli occhi del padre. Aveva lasciato cadere la valigia ed era corsa verso di lui. Lui l’aveva presa in braccio mentre lei gridava “Papà!” e io avevo dovuto distogliere lo sguardo per non commuovermi. Era troppo per intromettersi. Questo era il loro momento papà-figlia.
Oggi mi viene in mente la natura fugace delle relazioni: oggi ci sono, domani le cose potrebbero drasticamente cambiare. La vita non è fatta di scadenze e risultati. Si tratta delle persone che incontriamo e di quelle che per noi hanno un valore. Si tratta di cogliere questi momenti e di viverli a fondo.
Perché il nostro Dio, l’autore della vita, è amore.
Di Jill Morikone, vicepresidente e direttrice operativa di Three Angels Broadcasting Network (3ABN), una rete televisiva avventista. Lei e suo marito, Greg, vivono nel sud dell’Illinois e si divertono a portare avanti insieme un ministero per Gesù.
Fonte: https://adventistreview.org/perspectives/columnists/life-and-love/
Traduzione: Tiziana Calà