Per Pietro e per noi nel presente, lo Spirito di Gesù sradica il peccato del pregiudizio.
La tragica e insensata uccisione di George Floyd negli Stati Uniti, avvenuta il 25 maggio, ha riportato alla ribalta la questione del razzismo e della brutalità della polizia. Il suo omicidio ha colpito profondamente le persone di tutto il mondo. Ha suscitato la rabbia, il disgusto e la protesta di centinaia di migliaia di persone, prima a Minneapolis e poi in tutto il mondo.
Il razzismo è definito come “pregiudizio, discriminazione o antagonismo diretto contro qualcuno di una razza diversa, basato sulla convinzione che la propria razza sia superiore”. Insomma, il razzismo è peccato e, come tale, non sempre si manifesta come ha fatto con Derek Chauvin che ha immobilizzato George Floyd con un ginocchio sul collo. Si manifesta piuttosto in modo sottile e indefinito, nei pregiudizi istituzionali nei confronti delle persone di colore, limitando l’accesso ai prestiti per studenti o fornendo servizi comunali minimi alla comunità. Si è manifestato in un razzismo sistematico attraverso una discriminazione palese avvenuta nel passato e una discriminazione digitale e opposta nel presente. Si manifesta a livello personale nella falsa supposizione che tu sia superiore a me, o che io sia migliore di te.
Si manifesta in un sottile antagonismo nei confronti dell’avanzamento delle persone di colore. Il suo egoismo si nasconde sotto il pretesto della mondanità, del gettonaggio aziendale, delle sottigliezze sociali, della conoscenza superficiale e dell’occasionale esplosione di una natura maleducata, cruda e marcia attraverso il confronto, la violenza e, sì, perfino la morte.
Visto che sono nato e cresciuto in Sudafrica e visto che sono una persona di colore, so in prima persona che aspetto ha il razzismo e quanto facilmente questo venga respinto dai bianchi. “Oh, l’apartheid non era poi così male”, mormorano, non volendo riconoscere i loro privilegi o la disuguaglianza e l’ingiustizia che il sistema ha generato. Sono stato testimone delle condizioni disumanizzanti in cui i neri hanno vissuto per decenni.
La verità è che in ogni posto in cui ho lavorato (Nuova Zelanda, Australia, Corea del Sud) ho visto il razzismo. Le attuali proteste sono globali perché il razzismo fa parte della condizione umana. Per questo so che il mio cuore è lontano dal bene, lontano da ciò che è degno; per questo, so che ho un disperato bisogno della grazia.
A livello personale riconosciamo il peccato, ci confessiamo e ci pentiamo. Il Signore ci perdona e ci purifica (cfr. 1 Giovanni 1:9), e noi corriamo “verso la meta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Filippesi 3:14). Ma poiché il razzismo è personale e sociale, strutturale e sistematico, e poiché le persone di colore hanno sopportato decenni e secoli di razzismo, la cosa non può essere ignorata. Non possiamo proclamare #All Lives Matter (tutte le vite sono importanti), perché tutte le vite non sono sempre state importanti. Non possiamo dire: “Abbiamo parlato di razzismo, ora andiamo avanti”, perché i neri hanno subito e subiscono tutt’ora il razzismo. La nostra cultura e le nostre nazioni sono ancora ingiuste e disuguali.
Paolo, Pietro e il razzismo?
La chiesa di Galati aveva faticato a seguire l’insegnamento di Paolo sulla rettitudine per fede, perché alcuni sobillatori di Gerusalemme si erano infiltrati nella chiesa e avevano cominciato a difendere un altro vangelo (cfr. Galati 1:7–8). Questi provocatori sostenevano che la salvezza poteva essere raggiunta attraverso la fede in Gesù e l’ubbidienza a certe pratiche ebraiche. Paolo racconta il suo incontro con i capi di Gerusalemme in Galati 2:1-10, sostenendo che quando finalmente si incontrò con loro riguardo alla sua evangelizzazione tra i gentili, essi appoggiarono il ruolo che gli era stato dato da Dio. Poi parla di un incontro con Pietro, riportato nei versetti 11-14:
“Ma quando Cefa venne ad Antiochia, gli resistei in faccia perché era da condannare. Infatti, prima che fossero venuti alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con persone non giudaiche; ma quando quelli furono arrivati, cominciò a ritirarsi e a separarsi per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei si misero a simulare con lui; a tal punto che perfino Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia. Ma quando vidi che non camminavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: Se tu, che sei giudeo, vivi alla maniera degli stranieri e non dei Giudei, come mai costringi gli stranieri a vivere come i Giudei?”.
Pietro era venuto ad Antiochia per verificare il buon lavoro che Paolo stava facendo. Con ogni probabilità, questo avvenne dopo il Concilio di Gerusalemme descritto in Atti 15. Ad Antiochia, Pietro scoprì ebrei e gentili che mangiavano insieme, unendosi a loro. Senza dubbio ha ricordato la visione della tovaglia, quando Dio gli disse: “Le cose che Dio ha purificate, non farle tu impure” (Atti 10:15).
Tuttavia, quando la festa della circoncisione arrivò da Gerusalemme, Pietro prese le distanze dai gentili con i quali era stato in precedenza in comunione. Nella cultura del primo secolo, mangiare insieme era simbolo di accettazione sociale. Pietro aveva più paura delle persone (cfr. Galati 2:12) che di Dio. Ecco Pietro, nato di nuovo, pieno di Spirito Santo, che si comporta da ipocrita. Egli supponeva che, essendo superiore ai gentili, poteva trattarli nel modo che più preferiva. Poteva mangiare con loro quando nessuno di importante stava guardando, ma non doveva farsi vedere mentre mangiava insieme a loro quando c’era qualcuno di importante. Il suo comportamento non era determinato dalle sue convinzioni, ma dalle azioni altrui o dalla loro vicinanza a lui. Pietro, e coloro che seguivano il suo esempio, sapeva di avere torto ma fingeva di avere ragione. Paolo afferma che anche Barnaba, che nel Nuovo Testamento veniva sempre rappresentato sotto una luce positiva, è stato portato fuori strada (v. 13).
Le azioni ipocrite di Pietro rivelano il suo etnocentrismo e il suo razzismo. Se, come abbiamo suggerito, il razzismo è insidioso e pericoloso, allora Pietro dimostrava, con le sue azioni verso i gentili, il suo bigottismo etnico e razziale. Per salvarsi la faccia, Pietro ha scelto di non ascoltare lo Spirito, né la visione che ha ricevuto da Dio in Atti 10. Ha scelto invece di seguire la sua natura peccaminosa, allontanandosi dai pagani a causa della visita dei sobillatori di Gerusalemme.
La descrizione sincera di Pietro nella Scrittura serve come testimonianza e incoraggiamento per tutti noi. La Scrittura non nasconde i difetti dei suoi protagonisti. Da un lato, Pietro può dichiarare che Cristo è il Figlio di Dio (cfr. Matteo 16:15-17). Dall’altro, Gesù può rimproverarlo (versetti 22–23). Vediamo il suo tradimento nei confronti di Cristo (cfr. Matteo 26:69-75) e sentiamo il tenero invito di Cristo rivolto ai discepoli e a Pietro, per venire a incontrarlo in Galilea (cfr. Marco 16:7). Leggiamo della potente predicazione di Pietro in Atti 2 e ora del suo fallimento in Galati 2. Nonostante la debolezza e il fallimento di Pietro, Dio si è servito ancora di lui.
La potenza trasformatrice del Vangelo
Paolo stabilisce un potente principio nell’affrontare l’orgoglio razziale di Pietro. Egli sostiene che Pietro non ha agito “secondo la verità del vangelo” (Galati 2:14). La verità del Vangelo è l’incommensurabile e immenso amore di Dio nei confronti di tutti coloro che credono (cfr. Galati 1:6, 15; 2:9,16,21) e quindi la libertà dei credenti gentili senza l’imposizione della legge (Galati 2:4–5). L’espressione “secondo” è una traduzione di orthopodeō, la base della parola inglese “orthopedics”, che significa “camminare dritti o in piedi”. Denota una condotta incrollabile, retta, sincera, non il corso instabile e ipocrita seguito da Pietro.
In effetti, Paolo diceva che il Vangelo fornisce la potenza per una vita giusta (cfr. Romani 1:16). Il Vangelo deve essere applicato, quindi, a ogni aspetto della nostra vita, spirituale, aziendale, sociale e fisica, vivendo le “linee” o le implicazioni del Vangelo. Paolo scrive in Filippesi 2:12–13: “Così, miei cari, voi che foste sempre ubbidienti, non solo come quand’ero presente, ma molto più adesso che sono assente, adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo”.
Elaboriamo le linee del Vangelo mentre viviamo ogni giorno la nostra vita nel e attraverso l’opera di Dio in noi. Al Vangelo deve essere dato un “allenamento” in ogni area del nostro pensiero, della nostra relazione, del nostro servizio, del nostro sentimento e del nostro comportamento.
La confessione e il pentimento sono ciò che rendono il Vangelo operativo nella nostra vita, attraverso il potere dello Spirito Santo. Questi due elementi costruiscono ponti, favoriscono l’unità e approfondiscono le relazioni. Ci vuole coraggio, coraggio che Dio ci darà, per confessarsi e pentirsi. Il pentimento è dolore divino (cfr. 1 Corinzi 5:7). Questo dolore riconosce che sono un peccatore a pezzi, che la mia vita merita la morte, la morte eterna e che ho un disperato bisogno di un Salvatore che possa salvarmi, redimermi e ristabilirmi. Questo dolore non se ne va mai, ma diventa più profondo man mano che il mio cammino con Gesù matura, non per le cose sbagliate che sto facendo, ma perché più mi avvicino a Gesù, più vedo quanto sono realmente lontano da Lui. Il paradosso del cammino cristiano è che non arriviamo mai, almeno non fino al ritorno del Signore.
L’incommensurabile e inesauribile amore di Dio che si manifesta nel vangelo di Gesù Cristo dà nuova vita. Il pentimento è voltare un angolo, cambiare direzione e intraprendere un nuovo cammino. Dobbiamo pentirci del nostro razzismo, che sia corporativo, personale o sociale, per rendere questo mondo un posto migliore. Il pentimento è un movimento dello Spirito di Dio nel profondo del mio cuore che porta un dolore divino, un dolore che cambia la direzione della mia vita, della mia società, della mia chiesa, del mio posto di lavoro, della mia famiglia e della mia cultura. Solo Dio può farlo, se noi lo vogliamo!
Crescere nella cristianità, nella santificazione, è il cammino della vita. Ellen White scrive: “La vera ubbidienza nasce dal cuore” (La speranza dell’uomo, p. 512). Il Signore desidera la continua trasformazione dei nostri cuori in questo cammino.
La santificazione non è arrivare al cielo, ma permettere al cielo di entrare dentro me. Paolo esorta Timoteo a combattere “il buon combattimento della fede” (1 Timoteo 6:12), non la cattiva lotta del peccato. Che possiamo continuare a combattere questa buona lotta per vivere la nostra fede, attraverso la potenza fornitaci dal Signore, affinché Gesù Cristo si riveli e la sua missione si compia.
Di Kayle B. de Waal, docente di Nuovo Testamento all’Avondale University College, Australia.
Fonte: https://www.adventistreview.org/the-gospel-defeats-racism
Traduzione: Tiziana Calà