L’affermazione “Yahweh nostro Dio, Yahweh è uno” è complessa da interpretare per diverse ragioni. Riflettiamo insieme.
Cosa vuol dire “L’Eterno [Yahweh] è uno” (Deuteronomio 6:4, ND)? Ecco il versetto completo: “Ascolta, Israele: l’Eterno [Yahweh], il nostro Dio [’elohim], l’Eterno [Yahweh] è uno”. Questo testo, chiamato Shema, è di fondamentale importanza nella fede ebraica: shema‘ è la parola ebraica che significa “ascoltare”. Si tratta di un invito rivolto a Israele ad ascoltare e obbedire al Signore. Il significato della parte restante del versetto è oggetto di dibattito.
Possibili interpretazioni
La frase “Yahweh, il nostro Dio, Yahweh è uno” è difficile da interpretare per diverse motivazioni: non abbiamo un’altra frase nominale biblica come questa; il numero uno (’ekhad) non è normalmente usato con un nome proprio; e la frase intera manca di un verbo. Nelle proposizioni nominali, di solito si suppone il verbo “essere”. Gli studiosi sono concordi nell’affermare che la traduzione più probabile è: “Yahweh [è] nostro Dio/Yahweh nostro Dio, Yahweh [è] uno”. Cosa significa? Alcuni potrebbero sostenere che voglia riferirsi al monoteismo: esiste un solo Dio, Yahweh. Altri vedono in questa frase l’esclusiva adorazione di Yahweh (“Yahweh è nostro Dio, solo Yahweh” o “il solo Yahweh”). Chi mantiene la traduzione “Yahweh è uno” lo interpreta così: Yahweh non è un Dio regionale (ad esempio, il Dio di Samaria; il Dio di Gerusalemme) venerato in modi diversi. Yahweh è uno e lo stesso ovunque.
Esiste una via d’uscita?
Considerando le difficoltà associate al passo, gli studiosi suggeriscono solo letture possibili. Se la traduzione più naturale è “Yahweh è nostro Dio, Yahweh è uno,” è chiaro che ci confrontiamo con due affermazioni, o predicati, su Dio: lui “è nostro Dio” e lui “è uno”. Forse la prima affermazione apre a ciò che il testo prosegue a dire: “amerai il Signore, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore” (v. 5).
La seconda espressione riguarda probabilmente l’unità e l’unicità di Yahweh. La radice verbale ’akhad, legata al numero “uno” (’ekhad), significa “essere unito”. Probabilmente l’enfasi sarebbe sull’unità e sull’unicità di Dio nel senso che non c’è nessuno come lui; lui è l’unico del suo tipo.
Qui risiede fondamentalmente il monoteismo biblico (cfr. Deuteronomio 4:35) ed è sostenuto da Zaccaria 14:9. Questo testo, richiamando lo Shema, prevede un futuro in cui chiunque competa con Dio per la supremazia verrà superato, e poi “il Signore sarà l’unico e unico sarà il suo nome”. Sarà adorato come colui la cui stessa natura (cioè, il suo nome) è unica (cfr. Esodo 3:13-17); non c’è nessun’altro simile a lui.
Un solo Dio
Lo Shema è citato nel Nuovo Testamento per affermare che Dio è veramente uno (cfr. Marco 12:29; 1 Timoteo 2:5; Giacomo 2:19). Questa dichiarazione è una convinzione biblica non negoziabile, confermata senza dubbi dal cristianesimo, pur insegnando la pluralità all’interno della Divinità. Ed è possibile perché il numero “uno” può essere usato per designare una singola unità che include al suo interno una pluralità. Il passo più noto è in Genesi: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una sola carne [’ekhad]” (Ge 2:24). Qui l’”uno” è costituito da due persone.
Forse la più sorprendente allusione allo Shema si trova in 1 Corinzi 8:6, dove Paolo identifica l’“uno Dio” con il Padre e l’“uno Signore” (greco kurios) con Gesù Cristo, specificando che Gesù appartiene alla comprensione biblica dell’unità del solo Dio (1).
Nota
(1) Richard Bauckham, Jesus and the God of Israel, Grand Rapids: Eerdmans, 2008, pp. 210-218.
Di Ángel Manuel Rodríguez, dottore in teologia, ha servito come pastore, professore e teologo. Ora è in pensione.
Fonte: HopeMedia Italia
Traduzione: V. Addazio