Di recente ho fatto trekking in Nepal. A volte, al ritorno da un viaggio, sento la pressione di dover raccontare storie emozionanti, esperienze di “quasi morte” e aneddoti che lasciano la gente con gli occhi spalancati e tante risate.
Ma riflettendo sul mio viaggio, sono stati i momenti semplici a rimanermi impressi: le tazze di tè chai alla fine di una lunga giornata di trekking; l’aria di montagna con sottili note di riso al vapore e sterco di yak; i bambini locali che correvano sul sentiero e regalavano fiori agli escursionisti di passaggio; le bandiere colorate appese sui ponti oscillanti e sui fiumi bianchi come il latte; la sfilata di asini che annunciavano il loro arrivo con le campane (una grazia salvifica quando si aveva bisogno di un motivo per accostarsi e fare una pausa). E soprattutto il popolo nepalese, con il suo cuore grande e paziente e la sua tendenza a ballare dopo ogni vittoria della vita.
Tra queste c’erano le mie guide, una coppia padre-figlio della piccola città di montagna di Lukla, dove inizia il cammino per l’Everest. Erano due delle persone più felici e altruiste che abbia mai conosciuto e indossavano sempre un sorriso, anche quando portavano l’equivalente del loro peso corporeo legato alla testa o si occupavano dei nostri effetti collaterali dovuti all’altitudine e delle nostre richieste schizzinose relative ai pasti. Man mano che li conoscevo, ho capito che non avevano una vita facile: il lavoro era duro, le opportunità poche, non possedevano molto e avevano affrontato più tragedie della maggior parte delle persone. Eppure, il padre guardava le montagne e diceva: “Sono così felice!”, frase sempre seguita da una risatina e da un lungo sospiro.
In Nepal ho avuto la pausa che speravo, ma sono anche tornata con un senso di conflitto sulle mie priorità a casa. Era una sensazione familiare che avevo provato solo al ritorno da un paese meno fortunato del mio: la sensazione di aver dimenticato il senso della vita e di aver permesso ad altre cose di avere la precedenza.
La ricerca di uno scopo
Avere uno scopo nella vita non solo ci dà un senso di pace e di direzione, ma è anche associato a una vita più lunga. Uno studio ha dimostrato che le persone con un punteggio elevato per lo “scopo della vita” avevano quasi il 50% in meno di probabilità di morire.
Per migliaia di anni, tutti, dai filosofi agli scienziati, agli scrittori e agli intellettuali, fino a noi, si sono confrontati con le domande: “Perché sono qui?”; “Che cos’è tutto questo?”. Alcuni evitano di farsele perché provocano loro troppa ansia. Alcuni passano tutta la vita a cercare di rispondere. Alcuni fanno semplicemente spallucce.
Molti decidono che il loro scopo è essere liberi, di successo o felici. Ma la libertà per uno non è necessariamente libertà per tutti. Il successo ci rende preoccupati, con lavori che odiamo per pagare le bollette, raggiungere obiettivi materialistici e comprare cose che usiamo a malapena. E, alla fine, molti si ritrovano ancora con una tristezza di fondo, stanchi o insoddisfatti.
Poi c’è la felicità, che ci porta a rincorrere un piacere dopo l’altro, senza mai trovare la vera soddisfazione.
Credo che il nostro scopo sia amare ed essere amati. Forse questo deriva dal fatto di aver lavorato nel campo della salute mentale e di aver ascoltato tante persone che si agitavano per il loro scopo e che poi, in un soffio, hanno spiegato le difficoltà che incontravano nelle loro relazioni. O forse è dovuto al fatto che ho trascorso i miei vent’anni viaggiando con lo zaino in spalla, vedendo che, in tutte le culture e nazioni, alcune delle persone più felici non hanno altro che coloro che le circondano.
Nella Bibbia, Dio dice che le relazioni sono il fulcro della vita. Dei dieci comandamenti, quattro riguardano il nostro rapporto con Dio e sei il rapporto con le altre persone. Ma tutti e dieci riguardano la protezione delle relazioni. “In questo è l’amore: che camminiamo secondo i suoi comandamenti. Questo è il comandamento in cui dovete camminare come avete imparato fin dal principio” (2 Giovanni 1:6). O, in altre parole, “Ricercate l’amore” (1 Corinzi 14:1).
Nel 2007, l’organizzazione Gallup ha chiesto alle persone di tutto il mondo se sentissero di condurre una vita significativa. Sorprendentemente, la Liberia è stato il paese in cui le persone hanno percepito il maggior senso di significato e di scopo, mentre i Paesi Bassi sono stati il paese in cui le persone hanno percepito il minor senso di scopo. Questo non perché la Liberia fosse migliore. Era vero il contrario. Ma nel tumulto delle loro vite, le persone hanno dovuto impegnarsi l’una con l’altra per sopravvivere e questo ha dato loro un profondo senso di significato. Come dice lo scrittore David Brooks, “questo è il paradosso del privilegio. Quando siamo benestanti, inseguiamo i piaceri temporanei che in realtà ci allontanano. Usiamo la nostra ricchezza per comprare grandi case con grandi giardini che ci separano e ci fanno sentire soli. Ma nella crisi siamo costretti a stringerci l’uno all’altro in modi che rispondono ai nostri bisogni più profondi”.
Anche il Nepal è un paese in cui il tasso di disoccupazione è elevato, i sistemi sanitari e scolastici sono in crisi e molti vivono in povertà. Nonostante ciò, il Rapporto Mondiale sulla Felicità del 2021 ha classificato il Nepal come il paese più felice dell’Asia meridionale.
Spesso ci comportiamo come se le nostre relazioni fossero qualcosa da incastrare nella nostra agenda. Parliamo di trovare tempo per i nostri cari, i nostri figli e i nostri amici come se fossero solo un compito nella nostra vita insieme a tanti altri. Nel frattempo, il rimpianto più comune dei morenti è che avrebbero voluto trascorrere più tempo con i propri cari. Nessuno vorrebbe mai aver lavorato di più o aver passato più tempo a guardare Netflix. E a meno che non siate Steve Jobs o Thomas Edison, il modo in cui trattate le persone avrà probabilmente un impatto sul mondo molto maggiore di qualsiasi cosa facciate.
Dipende solo da voi
Quindi, se le relazioni sono più importanti nella vita, perché permettiamo loro di avere la fetta più piccola della torta del nostro tempo? Intorno agli anni ‘60, l’Occidente ha iniziato ad abbracciare uno stile di vita iperindividualistico. A distanza di qualche decennio, questa enfasi ha portato a un enorme aumento di malattie mentali, suicidi, solitudine, disgregazione delle famiglie e sfiducia. La società ci dice: “Insegui i tuoi sogni!”; “Fai ciò che ami!”. Ma questo non solo non soddisfa molti dei nostri desideri più profondi, ma non rappresenta nemmeno la realtà per gran parte del mondo.
Mi aspettavo di tornare dal Nepal estasiata per aver portato a termine l’escursione che mi ero prefissata, in soggezione per i panorami montani che avevo visto e felice per tutti i ravioli e per i tè che avevo consumato. Invece, è stato il tempo libero trascorso con persone nuove e vecchie a fare la differenza. Hanno risvegliato in me il desiderio di essere più calorosa, più generosa, più gentile. Mi hanno ricordato innumerevoli volte ogni giorno: “Bistari, bistari”, ovvero piano, piano. Goditi il viaggio. Non c’è bisogno di correre. E mi hanno fatto tornare a casa pensando: “Wow, sono le persone più incredibili che abbia mai incontrato. Come posso essere più simile a loro?”.
So che avere come scopo l’amore non risponde in modo specifico alla domanda “Cosa devo fare nella mia vita?”, soprattutto quando si pensa alla propria vocazione. Ma qualunque sia il percorso che vi troverete a percorrere, che si tratti di uno studio legale o di lavare i piatti in un bar, di viaggiare per il mondo o di rimanere nella vostra città natale, di andare a scuola o di andare in pensione, il mio consiglio è questo: portate l’amore con voi ovunque andiate. Impegnatevi a lavorare su voi stessi e sulle vostre relazioni. Cercate dei modelli di riferimento e forse diventerete voi stessi un modello. Senza dubbio vi troverete ad abitare le opportunità e a sentirvi più soddisfatti.
La vita non è fatta per essere percorsa da soli. Siamo plasmati dalle relazioni, nutriti dalle relazioni e desideriamo le relazioni. Questo desiderio trascende la razza, la religione, il sesso, la classe e l’età. Ralph Waldo Emerson affermò: “Lo scopo della vita non è essere felici. È essere utili, essere onorevoli, essere compassionevoli, fare la differenza se si è vissuto e si è vissuto bene”.
Il periodo inziale di un anno è tipicamente quello in cui iniziamo a fare piani per allenarci di più, ottenere una promozione, risparmiare denaro… insomma, riempire lo spazio vuoto. Ma adesso, prendetevi un momento per chiedervi questo: “Come posso diventare un individuo più amorevole?”.
Che possiate imparare, attraverso il mio viaggio in Nepal, che l’amore e le relazioni sono le cose più importanti di tutte. Per quanto possa sembrare banale, è qualcosa per cui tutti possiamo lavorare, da me e voi agli sherpa lontani sulle montagne nepalesi.
Di Zanita Fletcher, life coach e assistente alla redazione dell’edizione Australia/Nuova Zelanda di Signs of the Times.
Fonte: https://st.network/analysis/top/simple-purpose.html
Traduzione: Tiziana Calà