Mi piace guardarmi indietro. Quando sto scalando una montagna, è una scusa per riposare. Ma lo faccio anche per un’altra ragione: vedere quanta strada ho percorso.
E trovo che sia meglio riposare con i piedi rivolti verso la valle, in modo da non guardarmi indietro solo con fatica e stanchezza, ma con serietà e concentrazione, in modo da avere un quadro il più ampio possibile. A volte mi chiedo come ho fatto a superare certi ostacoli. Dall’alto, sembrano più imponenti di quanto non fossero in realtà. A volte la nebbia, la pioggia o il vento mi privano di questi momenti. Non riesco a vedere da dove sono venuta o dove porta esattamente il sentiero. Così spesso mi fermo e cerco un riparo. Oppure cerco di salire velocemente, senza godermi il paesaggio, e comincio a calcolare i rischi, cercando di affrontare il “pericolo” il più velocemente possibile. Molte volte prego, chiedendomi in contemporanea perché ho deciso di mettermi in cammino. Perché non mi sono informata meglio? Perché non ho fatto domande “inutili” quando ne avevo la possibilità?
Qualche volta mi sono persa, ma stando con persone più esperte di me e di cui mi fidavo, non ho avuto paura (beh, non ho avuto troppa paura). Per lo meno la situazione non era così grave da dover chiamare il Soccorso Alpino. E il fatto che sono sopravvissuta per scrivere di questa esperienza è la prova che alla fine abbiamo trovato la nostra strada. Forse, abbiamo inavvertitamente creato nuovi sentieri. Ammetto che ci sono molti sentieri che non ho ancora percorso. La mia attrezzatura è quella di una dilettante, e le mie mappe… beh, ci sono momenti in cui so dove si trova il nord.
Il trekking in montagna a volte porta un senso di soddisfazione personale che è sconosciuto a chi non pratica questo sport. Il degno sforzo e la fatica dell’arrampicata possono mettere in ordine i nostri pensieri e ampliare le nostre prospettive.
L’obiettivo che di solito mi pongo è semplicemente quello di raggiungere la cima. Lungo la strada, però, i miei sentimenti cambiano. Ricalibro le mie aspettative, rimando il momento di raggiungere la cima per godermi numerosi altri momenti, che sembrano più importanti o addirittura più necessari, rispetto all’arrivare alla vetta. In questo modo, l’obiettivo iniziale costituisce solo il motore d’avviamento. Il motore fa davvero le fusa quando sono concentrata nel trekking. Ma una cosa è certa: quando arrivo in cima, non sono più la stessa donna della partenza.
Alcune montagne ti lasciano a malapena respirare. Tutto quello che puoi fare è salire, con la strada che sembra non finire mai. Altre sono più facili e il percorso è più vario. Si sale, si scende, si sale e si scende ancora, ma si sa che dopo tutto questo si è più vicini alla cima. Queste montagne sono quelle che mi piacciono di più. Forse mi piacciono perché assomigliano al mio modo di capire la vita: lo scopo della vita è sia raggiungere la cima che godersi il percorso per arrivarci.
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Da un po’ di tempo a questa parte, ho capito che lo scopo della vita è guardare indietro piuttosto che guardare avanti. La decisione di fermarmi e riposare non sempre mi viene naturale, ma sono arrivata a capire che le mie pause sono parte di un percorso a volte difficile, a volte spettacolare, almeno ai miei occhi, perché so da dove sono partita e dove sono stata. Lungo la strada, la vita sembra un ammasso di traguardi più piccoli, di cui non sono sempre consapevole, ma che si collegano l’un l’altro più avanti, lungo il percorso.
Nella vita reale, le ferite e i fallimenti spesso si sovrappongono e preparano il terreno al dubbio e questo mi fa confermare o riconfigurare il mio atteggiamento e i miei piani per il futuro. I momenti di crisi mi rivelano così quali sono le mie vere motivazioni e se sono abbastanza importanti da farne valere la pena. Così li tratto con tatto, cercando di avere la pazienza di scoprire nuove lezioni e prospettive. Ora so che possono aiutarmi non solo a raggiungere la cima, ma anche a godermi il percorso in un modo ancora più profondo di quello che speravo. Questa scoperta mi ha aiutata a controllare il dubbio che si cela nella mia testa ogni volta che non sembro in grado di lottare per la mia meta o per le mete imposte dalle aspettative degli altri.
Inoltre, questo scopo della vita è diventato un modo di vivere quotidiano, la prospettiva da cui guardo il percorso, le pause, il tempo, il riparo e la compagnia che frequento. È sia l’infrastruttura che la destinazione.
Avere questo scopo nella vita (o la ragione per cui mi sveglio la mattina) determina ciò che faccio e ciò che non faccio, ciò a cui rinuncio e ciò che scelgo di portare avanti, in ogni ambito della mia vita. Così come non posso scalare una montagna se metto i tacchi alti o dormo solo due ore, non posso avere un obiettivo e raggiungerlo se ho un programma caotico governato dal caso e dalla frivolezza. Equivarrebbe a ingannare me stessa. Inoltre, la mancanza di un obiettivo rende tutto di cattivo gusto. Che vita sarebbe quella in cui non si sente il sapore di un’anguria fredda nella calura estiva?
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Non so esattamente cosa abbia scatenato il mio desiderio di scalare le montagne o perché io trovi piacere in questo. Ma, a partire dalla mappa più importante della vita, la Parola di Dio, capisco che il cammino che ho iniziato sarà disseminato di errori e la meta finale, anche se mi appartiene, mi è stata parzialmente data prima ancora di essere creata.
Il cammino, che è anche il mio Modello, non mi ha lasciato senza indicazioni o compagnia. Ora so che “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”, e lo scopo della mia vita è strettamente connesso con Colui che ha creato la vita stessa. Prima ancora che iniziassi a contare i miei giorni, questi avevano un significato. Scopro e abbellisco questo significato attraverso le mie decisioni prese in corso d’opera, “come la luce che spunta e va sempre più risplendendo, finché sia giorno pieno”, quando la Sua Parola “è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero”. E la vista dall’alto sarà come le cose che “occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell’uomo”.
Di Madalina Teiosanu
Fonte: https://st.network/analysis/top/the-goal-that-appears-when-you-reach-it.html
Traduzione: Tiziana Calà