Il perdono non è un’emozione

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È difficile restare indifferenti di fronte a una storia come quella di Terri Roberts, la madre di un giovane che, in un momento di follia ancora inspiegabile, ha fatto irruzione in una scuola Amish e ha iniziato a sparare, uccidendo cinque studentesse prima di suicidarsi.

 

La donna ha raccontato come, fin dalla prima sera dopo la tragedia, gli amici delle vittime prima e i genitori in lutto poi, non abbiano mostrato il minimo desiderio di vendicarsi dei parenti dell’aggressore, ma li abbiano trattati con incredibile compassione e compostezza, agendo come balsamo sui loro cuori e aiutandoli a loro volta a fare lo stesso con altri.

“Il perdono non è un’emozione”, ha dichiarato un credente Amish, spiegando la reazione della sua comunità. Le parole sono rimaste nella mia mente come l’eco di un messaggio divino, un atteggiamento che è al di sopra della natura umana, schiava dell’egoismo e dell’ossessione dell’autoconservazione. E se è in qualche modo mio compito giudicare come sia stata possibile una cosa del genere, è solo perché vorrei sapere come hanno fatto a perdonare così, in modo da imparare a perdonare nello stesso modo e ad accettare di essere perdonata a mia volta. Forse il secondo aspetto di questa lezione potrebbe sembrare strano, ma acquista subito senso quando ci rendiamo conto di quante persone non riescono a perdonare se stesse per certi errori, certe decisioni sbagliate o addirittura dannose che hanno avuto conseguenze più o meno gravi sugli altri.

E come potreste accettare che il vostro stesso io, la persona da cui sicuramente avevate grandi aspettative, quella che ancora fate fatica a credere possa essere buona, se non fosse per quegli inspiegabili e irresistibili impulsi a fare il contrario di ciò che sapete essere giusto, possa deliberatamente fare del male a una persona innocente? Una situazione del genere è inconcepibile per la nostra mente. L’idea è così dolorosa che o la neghiamo del tutto, credendo ostinatamente di essere delle brave persone (1), o ci rassegniamo, convinti che non ci sia possibilità di riabilitazione per qualcuno la cui anima è corrotta come la nostra. Nessuno dei due atteggiamenti è compatibile con una vita sana e, cosa più importante, con una fede sana.

Il perdono è centrale nel cristianesimo. L’intero “edificio” della fede cristiana è infatti costruito sul più insolito monumento del perdono: la croce. Eppure molte persone sentono che tra loro e il perdono c’è una parete di vetro impenetrabile! “Il perdono non è un’emozione”. Ma di fronte alla croce, le emozioni hanno travolto tutti i presenti: i discepoli sono stati sopraffatti dalla disperazione per l’infrangersi delle loro speranze che colui che stavano seguendo era il Messia (come poteva il Messia lasciarsi uccidere dai romani che era venuto a sconfiggere?); la folla era posseduta da una sete irrazionale di violenza; i soldati erano presi da uno zelo smisurato nel percuotere e giustiziare i colpevoli; e Cristo stesso, mentre affrontava la morte, gridava a Dio: “Perché mi hai abbandonato?”.

Eppure, sebbene si manifesti in mezzo a un’impossibile marea di emozioni, “il perdono non è un’emozione”. Sulla base di quali emozioni il Dio dell’universo avrebbe potuto perdonare le atrocità commesse dall’umanità? Cristo avrebbe potuto essere affascinato dall’idea di morire sulla croce? Avrebbe potuto arrendersi e perdonare, sapendo che nei secoli a venire sarebbero accadute cose terribili, come l’Olocausto, che le persone per cui era morto si sarebbero sbranate a vicenda come animali nelle guerre dell’avidità? Quale sentimento in questo mondo, o al di fuori di esso, potrebbe produrre un tale perdono, quando ogni fibra urla che chi è stato perdonato in realtà non lo merita?

“Il perdono non è un’emozione”. Non lo è. È un mistero. È quella decisione inspiegabile per cui si decide di cercare di riparare ciò che l’altra persona ha rotto in noi, negli altri e tra di noi, anche se non ha il minimo interesse a farlo.

È così che vedo il perdono di Dio. Non matematicamente equilibrato, ma completo, misterioso. E anche se ci vorrebbe un’eternità per afferrare questo mistero, l’idea che “il perdono non è un’emozione” mi aiuta a non piegarmi davanti a Dio, sperando che la mia umiltà (spesso oltre i limiti dell’autenticità) lo convinca che sono abbastanza dispiaciuta da meritare il perdono. Non devo convincere Dio di nulla. Devo convincere me stessa che se oggi sono viva, significa che il Signore è disposto a riversare in me la vita. E il perdono è vita.

 

(1) Non è questa la sede per un dibattito filosofico sulla natura umana, ma a occhio nudo osserviamo che, mentre spesso rispondiamo con atti di gentilezza in modo significativo e a volte ripetuto, tendiamo a mostrare un forte egocentrismo quando non ci troviamo in circostanze che ci fanno sentire vulnerabili o alle strette.

 

 

Di Alina Kartman

Fonte: https://st.network/analysis/top/forgiveness-is-not-an-emotion.html

Traduzione: Tiziana Calà

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