“La storia dimostra quanto sia oltremodo difficile per i cristiani non dimenticare Cristo”, afferma il professor Chris Green. Dimenticare non significa perdere di vista la sua esistenza, ma piuttosto perdere di vista il suo modo di essere, i suoi valori e il suo modo di relazionarsi con coloro che lo circondano.
Gesù rimane unico e irripetibile, ma allo stesso tempo il modello supremo di vita e di fede per tutti, sorprendentemente lontano eppure inaspettatamente vicino a ciascuno di noi. Imparare a relazionarsi con le persone dalla sua prospettiva può essere non solo un esercizio di riscoperta, ma anche un modo per ritrovare la felicità e la gioia. Infatti, anche se non siamo d’accordo con la conclusione di Alfred Adler secondo cui tutti i problemi della nostra vita sono relazionali, dobbiamo riconoscere che la maggior parte di essi lo sono.
Una doppia prospettiva
Il modo in cui Gesù vedeva gli esseri umani è sorprendente e talvolta paradossale. Sono quelli a cui ha insegnato a pregare dicendo “Padre nostro”, quelli che ha “amato fino alla fine”, quelli per cui ha pregato per il perdono negli ultimi istanti della sua vita, ma anche quelli che ha paragonato alle volpi, a cui si è rivolto come “stolti e ciechi”, o addirittura come “cani” e “porci” che non davano valore a ciò che è sacro (cfr. Matteo 6:9-13; Giovanni 13:1; Luca 23:34; 13:32; Matteo 23:19; 7:6). Di fronte a un quadro così complesso e contrastante, non si può fare a meno di chiedersi: cosa pensava Gesù delle persone?
Anche una lettura superficiale dei Vangeli rivela che Gesù si rapportava alle persone principalmente come Dio Creatore. I suoi riferimenti alla storia della creazione e l’affermazione dell’apostolo Giovanni che “ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei [la Parola]” (Giovanni 1:3) mostrano che Gesù credeva nella storicità del racconto della creazione presente nel libro della Genesi. Le sue parole e persino i suoi gesti (“soffiò su di loro” – Giovanni 20:22) fanno capire che sapeva che gli esseri umani erano una creazione delle sue mani. Ecco perché la decisione di incarnarsi è così piena di significato e di umiltà. Pur essendo il Creatore, si è fatto uomo, affinché l’umanità potesse nuovamente sentire il tocco di Dio da cui era fuggita nell’Eden. Vestito non con la gloria di un tempo, ma con gli abiti di un anonimo falegname, è venuto a percorrere le strade fangose della Palestina alla ricerca degli Adami perduti, nascosti sotto le foglie di fico dei loro pregiudizi e peccati.
Nel modo in cui Gesù guardava le persone, invece di vedere la saggezza del Creatore, vediamo la bontà di uno che era come loro, l’amore di un fratello, la cura, la gentilezza e la fedeltà.
Per questo ha detto: “che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Giovanni 15:12).
Come ci ha amato?
Analizziamo la sua visione delle persone attraverso alcuni paradossi che troviamo nei Vangeli, che colgono la complessità del suo modo di raggiungere le persone e di mostrare loro il suo amore.
Sebbene conoscesse tutto delle persone, si stupiva comunque di ciò che notava in loro. Gli autori dei Vangeli dicono spesso di Gesù che sapeva tutto delle persone che incontrava. Giovanni, ad esempio, racconta delle folle entusiaste che si unirono ai discepoli di Gesù alla prima festa di Pasqua a cui il maestro partecipò dopo il battesimo: “Ma Gesù non si fidava di loro, perché conosceva tutti e perché non aveva bisogno della testimonianza di nessuno sull’uomo, poiché egli stesso conosceva quello che era nell’uomo” (Giovanni 2:24-25). Affermazioni come questa ricorrono spesso in Giovanni: Gesù conosceva Natanaele, sapeva quanti mariti aveva la Samaritana o chi voleva tradirlo. Ma se gli evangelisti non hanno dubbi sulla sua capacità di conoscere tutto di tutti coloro che incontrava, riportano anche due occasioni in cui Gesù si stupì, come tutti noi. Gesù si stupì della mancanza di fede della gente di Nazaret e della fede del centurione romano che era sicuro che Gesù potesse guarire il suo servo con una sola parola pronunciata da lontano (cfr. Marco 6:6; Matteo 8:10).
Ci sembra difficile capire che per qualcuno che sa tutto di tutti, ci possano essere ancora reazioni di persone che lo stupiscono, ma queste ci aiutano a vedere ancora di più la profondità del suo amore. Ecco un Gesù che sa tutto di Giuda, ma lo accetta comunque tra i suoi più stretti collaboratori. Un tale Gesù predica e fa del bene a persone che un giorno lo condanneranno a morte, e continua a stupirsi (a soffrire, a riconciliarsi a fatica) della loro ostinazione o ad affascinarsi (a compiacersi) della loro fede. Questo stupore lo avvicina a noi e rivela la sorprendente passione che ha per gli esseri umani. Gesù ama così tanto le persone che i loro piccoli gesti di fede suscitano ancora in lui una risposta emotiva simile a una piacevole sorpresa e, pur conoscendole così bene, continua a vivere il loro rifiuto di rispondere alla sua bontà come un gesto incomprensibile. Ciononostante, continua a mostrare loro compassione e gentilezza.
Gesù rovescia i costumi sociali quando sceglie le persone. Questo è un altro paradosso nel modo in cui tratta coloro che lo circondano. Non prende un adulto e lo mette in mezzo ai bambini per essere un esempio per loro, ma prende un bambino e lo mette in mezzo agli adulti. Non rimprovera i bambini che lo seguono, ma rimprovera i discepoli che non si lasciano disturbare. Gesù ha fatto il dono più grande a tutti i bambini quando ha scelto di incarnarsi non in un adulto, come Adamo, ma in un bambino. Riuscite a immaginare Gesù a tre, cinque o sette anni? A dodici anni, quando andò al tempio e parlò con gli scribi, non si comportò come uno che sa tutto, ma come era appropriato per la sua età… ponendo delle domande. Doveva avere un tale fascino e calore che i bambini potevano ascoltarlo per ore senza annoiarsi. Doveva trasmettere serenità e gioia, disponibilità ad aiutare coloro che lo circondavano, sensibilità ai loro bisogni, discrezione e lealtà. Non era mai infastidito dalla presenza delle persone, né dalle loro domande sincere o nascoste.
Quando scelse i dodici apostoli, cercò persone con cui tutti potessimo identificarci. Ambiziosi, vulcanici, contemplativi, entusiasti, tranquilli, perfezionisti: tutti possiamo riconoscerci nel loro modo di essere. E amò ognuno di loro a modo suo. Ha lasciato che Giovanni appoggiasse il capo sul suo petto, che Pietro camminasse sulle acque, che Tommaso toccasse le sue ferite e che Giuda gli desse il bacio del tradimento. E non solo con loro. Fece lo stesso con Paolo, che incontrò sulla strada di Emmaus e che fece diventare apostolo dei gentili. Gesù sapeva non solo chi erano le persone davanti a lui, non solo i loro peccati e le mancanze che infangavano le loro vite, ma anche cosa potevano diventare grazie alla sua potenza.
Gesù era vicino alle persone, ma sapeva anche mantenere le distanze. Gesù, che si dice “amava Marta e sua sorella” (Giovanni 11:5), che si rivela per la prima volta a Maria la mattina della risurrezione, che ha un gruppo di donne come sostenitrici della sua opera (cfr. Luca 8:1-3), sorprende i discepoli al pozzo di Sicar che “si meravigliarono che egli parlasse con una donna” (Giovanni 4:27). Ma non fu mai accusato dai suoi nemici di avere un comportamento scorretto nei confronti di una donna. Egli rappresentava uno standard morale per tutti coloro che lo conoscevano.
Nei Vangeli, Gesù è vicino a tutti, ma lascia abbastanza spazio perché ognuno si senta libero di scegliere, anche di dire di no, come fecero Giuda, Pilato e molti dei suoi seguaci.
Il fatto che ci siano ripetuti episodi di chiamata dei discepoli può indicare che sono stati chiamati da Gesù più di una volta. Questo spiegherebbe, ad esempio, perché il giovane ricco, nonostante il testo dica che Gesù “l’amò” (Marco 10:21), se ne andò senza rispondere all’invito di Gesù.
Colui che ha inventato la libertà l’ha offerta a tutti coloro che ha incontrato, con la stessa responsabilità dell’Eden, ed è morto proprio per garantire agli esseri umani la libertà di dire sì o no. Per questo ha pregato sulla croce, dicendo: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23:34), e il primo a rispondere a questa preghiera fu il centurione che lo riconobbe come Figlio di Dio. In virtù di questa libertà, scelse di tacere di fronte ai falsi testimoni, ai sacerdoti e agli scribi che inveivano contro di lui, e proprio per questo, dopo la risurrezione, evitò Pilato, Erode, Anna e Caifa. Come avrebbero fatto questi quattro a camminare per Gerusalemme, sapendo che avrebbero potuto incontrarlo da un momento all’altro? Immaginate quanto avrebbero “pregato” che non passasse loro accanto e che invece li salutasse con discrezione. Gesù esaudì il loro desiderio.
“Gesù amava…” Questo è forse il modo migliore per descrivere il modo in cui interagiva con le persone che lo circondavano. Potremmo voler leggere tutto il Vangelo con questa espressione in mente, che è così difficile da capire: Gesù amava l’indaffarata Marta, il timido Lazzaro, Maria con il suo passato complicato, Pietro, Giovanni, Tommaso e persino Pilato, Erode, il giovane ricco e Giuda. Questo era così evidente in lui che lo chiamavano beffardamente “un amico dei pubblicani e dei peccatori” (Matteo 11:19). Gli faceva solo male il fatto che non volessero che fosse anche loro amico. Poiché li amava così tanto, disse loro tutta la verità, a volte in lacrime, a volte con fermezza, ma sempre con responsabilità e grazia.
E un’altra cosa: non ha mai spettegolato. Se questo vi stimola e vi è di ispirazione, proviamo a seguire il suo esempio e amiamo come lui ha amato!
Di Adrian Neagu, che crede che il modo in cui Gesù trattava coloro che lo circondavano sia la ricetta per relazioni felici e soddisfacenti.
Fonte: https://st.network/analysis/top/jesus-also-loved.html
Traduzione: Tiziana Calà