Se potessi fare una domanda a Dio, quale sarebbe?

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Tre storie, un’unica conclusione

 

Sedici anni fa passeggiavo casualmente lungo Massachusetts Avenue, nel cuore del campus del Massachusetts Institute of Technology. Ero in missione per scoprire l’unica domanda che gli studenti avrebbero fatto a Dio, ammesso che esistesse. L’obiettivo era quello di trovare le domande più comuni menzionate e costruire una serie di conferenze intorno a esse, invitando gli studenti che erano alla ricerca. Non avevo un’ipotesi; volevo sinceramente sapere, sperando di esplorare con loro le risposte bibliche.

La domanda di gran lunga più affascinante che è emersa è stata quella sul significato. Anche se formulata in modo diverso da ogni mente e specializzazione accademica, la domanda centrale era la stessa: “Qual è il significato della vita?”.

Questo mi ha commosso. Queste menti brillanti, futuri inventori di nuovi linguaggi di codifica, pionieri del progresso tecnologico, teorici della realtà e co-fondatori di startup tecnologiche, si sono confrontati con l’idea di significato.

 

Tre concetti di significato

Sebbene la domanda sembri abbastanza semplice da porre, la sua semplicità smentisce la sua profondità e le sue sfumature critiche. La maggior parte degli studenti a cui è stata posta la domanda non ha capito veramente cosa venisse chiesto o come si sarebbe potuto capire se una risposta era valida e soddisfacente per la curiosità intellettuale. Così, quando finalmente tenni la lezione sul tema, mi sembrò fondamentale definire chiaramente i termini e garantire che la mia risposta potesse essere compresa e apprezzata per la sua adeguatezza.

Il termine centrale da definire non era “vita”, ma “significato”. Che cosa intendiamo per significato? Permettetemi di illustrarvi brevemente tre definizioni chiave.

La prima è quando ci riferiamo alla definizione delle parole, come in un dizionario. Per esempio, le parole “rouge”, “rosso” e “marpo” hanno tutte lo stesso significato in francese, italiano e tibetano.

Il secondo è quando ci riferiamo all’indicativo. Se dico: “Quelle nuvole significano pioggia”, sto suggerendo che le nuvole indicano che presto arriverà la pioggia. O forse potrei dire che il fatto che mia figlia non ti stacchi gli occhi di dosso mentre racconti una storia significa che è interessata.

Infine, usiamo il termine quando ci riferiamo al significato di un oggetto, di un evento o di un luogo. Per esempio, un anello nuziale significa un impegno per tutta la vita. La città della Mecca ha un significato per i musulmani perché si ritiene che il profeta Maometto sia nato lì e che vi si trovi la Kaaba, che si ritiene sia stata costruita da Abramo e Ismaele.

 

Oltre se stesso

Distinguendo queste tre idee, possiamo vedere chiaramente che il significato è il concetto centrale: l’idea di qualcosa che punta oltre se stesso. La parola “rouge” non è il colore rosso, ma indica il colore. Le nuvole non sono la pioggia, ma indicano l’arrivo della pioggia. La Mecca non è una città, ma una sacralità spirituale dello spazio a causa della figura sacra che vi è nata o che vi ha costruito un luogo di culto.

Così, quando chiediamo: “Qual è il significato della vita?”, in realtà stiamo chiedendo: “Qual è il significato della vita? Di cosa è indice la vita? Che cosa c’è oltre la vita che le dà significato?”. Questo ci insegna che la risposta non può essere trovata all’interno della vita stessa, perché solo qualcosa al di là di essa può darle significato.

E questo ci porta a chiederci: cosa potrebbe mai esserci al di là della vita? Gli alieni? Un regno quantistico?

 

Segni di trascendenza/divinità

Il re Salomone, in tutta la sua saggezza, dichiarò che la vita “sotto il sole” era priva di significato, un “inseguire il vento”. Ma perché la pensava così? Dopo tutto, aveva sperimentato le vette del successo terreno: potere, ricchezza e persino, si dice, un harem di 700 mogli e 300 concubine. Eppure, alla fine, trovò tutto vuoto, fugace.

È possibile che la malinconia di Salomone non fosse un segno di disperazione, ma piuttosto il riconoscimento profondo di una verità più grande? Una verità che ci sussurra nei momenti di quiete, nella bellezza di un tramonto, nelle pene della coscienza e nell’amore disinteressato?

Questa verità è che non siamo solo creature del mondo materiale, confinate nell’esistenza “sotto il sole” descritta da Salomone. Siamo esseri con un desiderio innato di qualcosa di più, qualcosa di trascendente, qualcosa di divino. Lungi dall’essere un difetto, questo desiderio è un segnale che ci indica la nostra vera casa, un luogo dove il senso e il significato non sono ombre fugaci ma realtà eterne.

Come ha eloquentemente detto C.S. Lewis, “se ci troviamo con un desiderio che nulla in questo mondo può soddisfare, la spiegazione più probabile è che siamo fatti per un altro mondo”. Questo “altro mondo” non è una galassia lontana o un regno etereo, ma una realtà che si interseca con la nostra, una realtà che possiamo intravedere nei sussurri della Bibbia e negli echi di eternità che risuonano nelle nostre anime.

 

Quando Gesù ti porta nel deserto, si preoccupa del tuo pasto

Il sole batteva impietoso sulla collina, proiettando lunghe ombre sui volti della moltitudine. Migliaia e migliaia di persone si erano riunite, con gli occhi fissi su Gesù, il cuore affamato delle sue parole e lo stomaco che brontolava per una fame più terrena. Mentre i discepoli cercavano freneticamente una soluzione, nell’aria aleggiava un’ansia palpabile. “Come possiamo sfamare tanti con così poco?”, pensavano, con la voce piena di dubbi.

Ma Gesù, da sempre la calma nella tempesta, non vide un problema ma un’opportunità. Con una compassione che trascendeva la comprensione umana, prese la misera offerta di cinque pani e due pesci, la benedisse e cominciò a spezzarla. E mentre la spezzava, il pane si moltiplicava, i pesci traboccavano e la folla veniva nutrita fisicamente e spiritualmente.

Questo miracolo, riportato in Giovanni 6, non è solo una storia della potenza di Gesù sulla natura; è una profonda metafora della sua capacità di soddisfare i desideri più profondi del nostro cuore. Egli è il pane della vita, la fonte di ogni sostentamento e soddisfazione. Anche quando ci troviamo in un deserto spirituale, circondati da canti senza vita e dalla disperazione, possiamo confidare che Gesù ha preparato un banchetto per noi. Ci nutrirà con la sua Parola, ci rafforzerà con il suo Spirito e ci riempirà di una gioia che il mondo non può dare né togliere.

 

Vedere è credere, ma credere è vedere

Immaginate un mondo avvolto da un’oscurità perpetua, un mondo in cui il sole è solo una voce lontana, i volti dei propri cari solo un’eco nella mente. Questa era la vita dell’uomo nato cieco, la sua esistenza confinata nel nero di una notte che finisce.

Poi arrivò Gesù, una luce che brillava nelle tenebre. Con un tocco, aprì gli occhi dell’uomo non solo sul mondo fisico, ma anche sulla realtà spirituale che lo aveva sempre circondato. I farisei, accecati dal loro orgoglio e dai loro pregiudizi, si rifiutarono di vedere il miracolo. I loro occhi funzionavano perfettamente, ma i loro cuori rimanevano chiusi alla verità. Rappresentavano una verità semplice ma profonda: gli occhi non vedranno mai ciò che il cuore non può accettare.

Questa storia, che si trova in Giovanni 9, ci insegna che la vera vista non riguarda solo la visione fisica, ma anche la percezione spirituale. Si tratta di riconoscere la mano di Dio all’opera nella nostra vita, anche quando sfida i nostri preconcetti e le norme sociali. Nel senso più vero del termine, credere è vedere. Si tratta di aprire i nostri cuori alla possibilità che Gesù sia più di quello che abbiamo percepito come tale, anche quando sembra infrangere l’immagine di come pensiamo che debba essere.

La storia del cieco ci ricorda con forza che tutti noi, in un certo senso, siamo nati ciechi. Entriamo in questo mondo con una comprensione limitata di Dio e dei suoi scopi. Ma attraverso la fede, possiamo avere una nuova visione, una visione che ci permette di vedere il mondo come lo vede Dio: un mondo decaduto ma pieno di bellezza, grazia e possibilità infinite.

 

Disfare le vesti funerarie del passato

A Betania l’aria era pesante di dolore, mentre Marta e Maria piangevano la perdita del loro amato fratello Lazzaro. Le loro lacrime scorrevano liberamente; i loro cuori soffrivano per un vuoto che sembrava impossibile da riempire. Anche Gesù, il loro caro amico e confidente, sembrava essere arrivato troppo tardi.

Ma Gesù, la fonte della vita, non era legato ai limiti della morte. Con una voce che prefigurava i bagliori del mattino dorato, chiamò Lazzaro dalla tomba. E Lazzaro, ancora avvolto nei suoi abiti funebri, emerse, abbagliato dalla luce del sole, come testimonianza vivente della potenza di Cristo sulla morte.

Questa storia, riportata in Giovanni 11, non è solo il resoconto clinico di una risurrezione miracolosa; è una profonda metafora del cammino cristiano. Siamo tutti, in un certo senso, come Lazzaro, un morto che cammina, legato agli abiti funebri del nostro passato: i nostri peccati, i nostri rimpianti, le nostre paure. Ma Gesù ci chiama fuori dalla tomba, offrendoci una nuova vita libera dalle catene del passato.

Tuttavia, gli abiti funebri non cadono in maniera così semplice. Devono essere svestiti, uno per uno, mentre abbandoniamo le nostre vecchie abitudini e abbracciamo la nuova vita che Cristo ci offre. Secondo Gesù, devono essere svestiti dalla comunità spirituale che ci circonda, alla quale dice: “Scioglietelo e lasciatelo andare”. È un processo, un viaggio di trasformazione che richiede fede, umiltà e collaborazione. Ma se continuiamo a seguire Gesù, egli, attraverso la comunità di fede, sveste delicatamente i nostri abiti funebri, lasciandoci liberi di vivere la vita in abbondanza che ha progettato per noi.

 

Conclusione

Allora, qual è il senso della vita? Non si tratta di conquiste, di possedimenti e nemmeno di felicità in senso temporale. Il senso della vita si nasconde in Colui che trascende la vita stessa. Si tratta di un approccio eterno a Dio attraverso Cristo, sperimentando il suo amore e cedendo ai suoi scopi per la nostra vita.

Nel corso della nostra vita, possiamo affrontare sfide, dubbi e momenti di oscurità. Ma possiamo sempre confidare nel fatto che Gesù è con noi, provvede alle nostre necessità, ci apre gli occhi sulla sua verità e ci chiama a una nuova vita.

Egli è la risposta alla domanda che risuona nel cuore degli studenti e dei cercatori di tutto il mondo: “Qual è il senso della vita?”.

 

 

Di Sebastien Braxton, consulente principale di Fiat Lux Consulting, che si occupa di servizi commerciali, servizi IT, media e marketing digitali. È anche cofondatore di Luminate World, un’applicazione che aiuta i giovani a connettersi con Gesù nelle loro attività quotidiane.

Fonte: https://adventistreview.org/theology/sabbath-school/if-you-could-ask-god-one-question/

Traduzione: Tiziana Calà

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