Come la maggior parte di voi, sono indignata per l’atroce assassinio di George Floyd, il brutale massacro di Breonna Taylor e l’uccisione di Ahmaud Arbery. Tuttavia, poiché ho cercato di indirizzare adeguatamente la mia rabbia e di elaborare la mia disperazione per il cambiamento, mi viene ricordato che sono stata ugualmente indignata per le esecuzioni efferate di Eric Garner, Michael Brown e Freddie Gray, tutte avvenute nel 2014; e, ancora prima, per l’insensata uccisione di Trayvon Martin nel 2012. Forse una delle più traumatiche per me è stata l’uccisione del dodicenne Tamir Rice nel 2014. Ogni volta che si verificano queste atrocità, ricordo che prima di esse c’è stata la perdita di un mio compagno di classe delle elementari, il cui nome è rimasto sconosciuto, vittima della stessa brutalità razzista nel 1968; e prima di lui, la perdita del mio prozio per le devastazioni della disperazione emotiva nella sua incapacità di affrontare le ingiustizie incontrollate della società; e prima di lui, innumerevoli vite di neri, vite perse in linciaggi e altre brutalità in America, il mio Paese.
Ripercorrendo questa settimana, ho dovuto riconoscere il fatto che dopo lo shock, l’indignazione e il dolore, torniamo sempre alla solita malsana e disumana attività commerciale e amministrativa, pregando e sperando in un giorno migliore, in un cambiamento.
Com’è possibile? Lo chiedo a tutti noi che ci consideriamo, almeno in parte, spiritualmente maturi, e a tutti coloro che si dichiarano convertiti. Come possiamo rivendicare la giustificazione e la santificazione in Gesù Cristo e, allo stesso tempo, chiudere occhi e orecchie di fronte al razzismo e alle sue devastazioni? Come possiamo proclamare il Vangelo in tutto il mondo se non lo viviamo a pieno? Il potere del razzismo sistemico ci ha forse reso insensibili? Stavamo cercando di volare sotto il radar della società per evitarne l’ira? Sì, nel corso del tempo ci sono stati alcuni miglioramenti all’interno della nostra società. Ma ci sono state tante battute d’arresto, e non siamo mai arrivati abbastanza lontano da poter rivendicare la vittoria sul peccato del razzismo e sulle sue orribili conseguenze sulla società. Per essere chi diciamo di essere, abbiamo ancora molta strada da fare.
Il 14esimo punto dottrinale, “L’unità del corpo di Cristo”, afferma il nostro impegno relativo al valore delle vite umane, vivendo in modo da riflettere questo impegno. Il punto afferma:
La chiesa è un corpo con molte membra chiamate da ogni nazione, tribù, lingua e popolo. In Cristo noi siamo una nuova creatura: distinzioni di razza, cultura, livello d’istruzione, nazionalità, differenze di classe, fra ricchi e poveri o fra maschi e femmine, non devono rappresentare motivi di divisione. Siamo tutti uguali in Cristo che, mediante un unico Spirito, ci ha uniti a lui e gli uni con gli altri. Dobbiamo servire ed essere serviti senza parzialità o riserve. Per mezzo della rivelazione di Gesù Cristo nelle Scritture diventiamo partecipi della stessa fede e della stessa speranza, e ne rendiamo testimonianza a tutti. Questa unità trova la sua fonte nell’unità del Dio uno e trino che ci ha adottati come suoi figli.
La Chiesa Avventista del Settimo Giorno ha preso una posizione chiara. Questa dichiarazione esprime non solo le nostre convinzioni, ma anche, secondo questo punto dottrinale, la nostra responsabilità nei confronti delle altre persone e di tutta l’umanità. Se il razzismo può essere definito come la svalutazione di un gruppo di persone, ritenute inferiori, e la sopravvalutazione di un altro gruppo o di altri gruppi di persone, ritenute superiori, è chiaramente antitetico alle nostre convinzioni. Noi, popolo della Bibbia, conosciamo l’origine del razzismo. Come tutti gli altri schemi del nemico, dobbiamo respingerlo, dobbiamo denunciarlo, vivendo in opposizione a esso all’interno della Chiesa e in tutta la società.
Dobbiamo essere consapevoli degli inganni e dei miti del “marchio di Caino” e della “maledizione di Cam”. Sembra che molti creazionisti credano alle falsità darwiniane quando si tratta di differenze etniche attribuite a fittizi stadi di sviluppo evolutivo da animale a umano. Anche molti che dichiarano l’eguale valore di tutte le persone sembrano accettare, seppur inconsciamente, la falsità che Dio abbia creato differenti razze o gruppi etnici per scopi diversi (alcuni gruppi di persone sarebbero quindi intrinsecamente dotate per la leadership, altri per il management, le arti dello spettacolo, l’atletica, la schiavitù, e così via). Sicuramente noi, popolo della Bibbia, non diamo alcun credito a queste correnti di pensiero. Ma allora, qual è il problema?
Mi chiedo se in parte siamo in attesa di un qualche cambiamento soprannaturale che ci introduca in un nuovo ordine relazionale in cui noi, come corpo, modelliamo effettivamente i nostri punti dottrinali. Sì, alcuni lo fanno come singoli individui, spesso in relazioni private. Ma la maggioranza di noi non dovrebbe forse esemplificare il carattere di Cristo? Non dovremmo cercare la giustizia nella società? Ci piace il testo di Michea 6:8; questo testo ci chiama a praticare la giustizia, ad amare la misericordia e a camminare umilmente con il nostro Dio. Siamo chiamati a praticare la giustizia, non solo a pensare e a predicare la giustizia, ma a praticare la giustizia.
Teologi, antropologi, psicologi e sociologi ci hanno ricordato che mentre dobbiamo identificare il nucleo di un problema e dobbiamo cercare di aiutare le persone a cambiare i propri cuori per superare il problema, dobbiamo impegnarci ad avere comportamenti corretti. Hanno scoperto che il comportamento corretto deve talvolta precedere l’interiorizzazione e le proprie convinzioni e valori. Se prendiamo a cuore il nostro 14esimo punto dottrinale, qual è il problema che permette ad alcuni di tollerare e persino di facilitare le ingiustizie e le atrocità nelle nostre nazioni, comunità e chiese? Che cosa spinge alcuni a replicare gli elementi più nascosti del razzismo, decifrando al tempo stesso le prove evidenti del razzismo? Non si tratta forse di ipocrisia?
Esploriamo insieme, almeno per un momento, un fenomeno che è pervasivo in gran parte del mondo, nonché fortemente incoraggiato negli Stati Uniti: l’attuale attenzione mondiale sulle conseguenze inevitabilmente oltraggiose del razzismo. Guardiamo per un attimo al ruolo dell’acquisizione e del mantenimento del potere, il ginocchio sul collo, anche in chiesa. In una recente uscita della rivista National Geographic, uno scrittore paragona l’uccisione di George Floyd ai linciaggi di un tempo: “Quest’uomo giaceva impotente a terra. È stato sottomesso. C’era un poliziotto in ginocchio sul suo collo. Quest’uomo stava implorando per la sua vita. Per me, questa è la dimostrazione finale del potere di un essere umano su un altro”.
Quando cerco di spiegare le dinamiche attuali negli Stati Uniti, riprendo uno dei miei discorsi preferiti, tenuto da Frederick Douglass, ex schiavo del Maryland, nonché studioso, oratore, scrittore, riformatore sociale, antropologo e statista. In occasione del 23esimo anniversario “dell’Emancipazione delle Indie Occidentali”, il 3 agosto 1857, pronunciò queste parole, a Canandaigua, New York:
Lasciate che vi dica qualcosa sulla filosofia della riforma. Tutta la storia del progresso della libertà umana dimostra che tutte le concessioni fatte alle sue augustee pretese sono nate da una lotta seria. {…} Se non c’è lotta non c’è progresso. Coloro che professano di favorire la libertà eppure deprecano l’agitazione sono uomini che vogliono il raccolto senza arare la terra; vogliono la pioggia senza tuoni e fulmini. Vogliono l’oceano senza il terribile ruggito delle sue acque. {…} Questa lotta può essere morale, o fisica, e può essere sia morale che fisica, ma deve essere una lotta. Il potere non concede nulla senza una richiesta. Non lo ha mai fatto e mai lo farà. Scopri a cosa si sottometterà tranquillamente qualsiasi popolo e hai scoperto l’esatta misura dell’ingiustizia e del torto che gli sarà imposta, e queste continueranno fino a quando non saranno contrastate con le parole o con i colpi, o con entrambi. I limiti dei tiranni sono prescritti dalla resistenza di coloro che opprimono. Alla luce di queste idee, i negri saranno cacciati al Nord e trattenuti e frustati al Sud finché si sottometteranno a questi oltraggi diabolici e non faranno resistenza, né morale né fisica. Gli uomini possono non ottenere tutto ciò per cui pagano in questo mondo, ma devono certamente pagare per tutto ciò che ottengono. Se mai ci libereremo dalle oppressioni e dai torti subiti, dovremo pagare per la loro rimozione. Dobbiamo farlo con il lavoro, con la sofferenza, con il sacrificio e, se necessario, con la nostra vita e la vita degli altri.
Dopo aver fatto riferimento al lavoro dell’abolizionista britannico William Wilberforce, Douglass continua, dicendo:
Sono consapevole del fatto che la disposizione ribelle degli schiavi è nata dalla discussione che gli abolizionisti stavano vincendo, e non è necessario confutare questa presunta spiegazione. Tutto ciò che sostengo è questo: che gli schiavi delle Indie Occidentali hanno combattuto per la loro libertà, e che il loro malcontento era noto in Inghilterra, cosa che ha contribuito a creare quello stato di opinione pubblica che alla fine ha portato alla loro emancipazione. E se questo è vero, ecco una risposta all’obiezione.
Vediamo come si presenta la situazione nell’arena pubblica. Come dovrebbe essere nella Chiesa in generale e nella Chiesa Avventista in particolare?
Dobbiamo agire. La mia preghiera è che possiamo raccogliere le forze per tornare ai primi giorni dell’avventismo, quando, come popolo, eravamo attivi, anzi, leader, sulla pubblica piazza. Come popolo abbiamo combattuto contro i mali della schiavitù, del razzismo e dell’emarginazione delle minoranze.
È passato il tempo di riconoscere che in realtà abbiamo un problema nella Chiesa a tutti i livelli. L’ho visto da vicino, chiaramente. L’avete visto anche voi. C’è speranza per tutti noi se ci rivolgiamo alla fonte della nostra forza. Nei suoi scritti, Ellen White ha predetto che negli ultimi giorni “Molti hanno perso di vista Gesù e hanno bisogno di considerare la sua persona, i suoi meriti e il suo immutabile amore per la famiglia umana”. “L’ultimo messaggio di misericordia da dare al mondo è la rivelazione del suo amore. I figli di Dio devono manifestare la sua gloria. Con la loro vita devono rivelare che cosa la grazia di Dio ha fatto per loro”. “In visioni notturne passarono davanti a me immagini di un grande movimento di riforma in seno al popolo di Dio. Molti lodavano Dio. I malati erano guariti e altri miracoli venivano compiuti un po’ dappertutto” (1).
Credo che questo movimento di riforma includa lo sradicamento e la guarigione del razzismo tra di noi e il raggiungimento di quell’amore a cui Gesù ci ha chiamati, quell’amore con cui il mondo saprà che siamo cristiani.
Questa volta, dopo lo shock, l’indignazione e il dolore, non torniamo a un’attività malsana e disumana, come di consueto, pregando e sperando in un giorno migliore, in un cambiamento.
C’è stato un tempo in cui Dio disse al suo popolo di alzarsi in piedi, di smettere di pregare e di andare avanti. Allora alziamoci: “Scorra piuttosto il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne!” (Amos 5:24).
- Ellen G. White, Ultimi Giorni, p. 115, 116, 117
Di Ella Smith Simmons, vicepresidentessa della Conferenza Generale degli Avventisti del Settimo Giorno
Fonte: https://www.adventistreview.org/deeds-not-only-words
Traduzione: Tiziana Calà